Siamo a dieci giorni circa dalla presentazione della legge di bilancio (in gergo la legge finanziaria) al Parlamento.
Non è ancora iniziata quella sessione di politica dei redditi (con esposizione dei contenuti della bozza di finanziaria alle parti sociali) prevista dall’Accordo del 23 luglio 2003, che a 14 anni di distanza il Presidente del Consiglio Romano Prodi afferma di considerare come la “stella polare” del suo metodo di fare politica economica (ricalcato su quello del suo predecessore, e successivamente, Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi).
Al contrario, ogni giorno, ove non ogni ora, filtrano notizie (più o meno affidabili) sulle tecniche legislative e sui contenuti del ddl in cantiere. Vediamo perché, senza soffermarci sulle differenze tra le varie componenti della coalizione – caratteristica nota a tutti e banalmente riferita in gran parte dei commenti sulla legge in preparazione.
Il nodo di fondo (quali che siano le divergenze tra gli 11 partiti di Governo) è che l’Esecutivo è alle prese con la messa a punto di una finanziaria schiacciata tra differenti procedure normative, gli ammonimenti di Ue, Fmi e quant’altro, le richieste dei Ministeri dopo tre lustri di vacche magre iniziati con la decisioni di entrare nel gruppo di testa dell’euro (e la successiva svalutazione della lira) e le nubi sul quadro economico mondiale (soprattutto in merito alle effettive possibilità di porre al riparo l’Europa da un eventuale ciclo negativo Usa – in gergo decoupling).
Al momento sembra ci siano soltanto due punti fermi:
a) l’obiettivo di un rapporto tra disavanzo e pil non superiore al 2,2%
b) una leggera riduzione delle aliquote (dell’Ires e dell’Ici) con finalità, però, più mediatiche che sostanziali (dato che lo stesso Prodi afferma in video che la pressione tributaria-contributiva non scenderà).
Vediamo i singoli punti in cui si naviga a vista. Il tema della procedura legislativa non è banale: una finanziaria di centinaia di commi (come quella dell’anno scorso) non verrebbe accettata da nessuno (soprattutto non la ingoierebbe il Quirinale). Quindi, il progetto è di una finanziaria secca e snella, accompagnata da un decreto legge fiscale (Ires, Ici e forse qualche altra piccola cosa) ed uno o due collegato.
I problemi sostanziali riguardano i collegati (con il quale si dovrebbe dare corpo al Protocollo del 23 luglio scorso): con i referendum tra gli iscritti ai sindacati in programma il 10 ottobre e la manifestazione del 20 ottobre (nonché le primarie per il Partito Democratico PD il 14 ottobre) è difficile avere le idee chiare prima della fine di ottobre.
Trasformarlo in un decreto legge, lo pone a rischio di bocciatura alla Commissione Affari Costituzionali del Senato, e di conseguente entrata in vigore dello “scalone previdenziale” della Legge Maroni il primo gennaio 2008. Eventualità che potrebbe fare implodere la maggioranza. I giuristi che collaborano con il Governo si stanno arrovellando. L’ultima pensata è quella di fare iniziare l’iter dei collegati ad un ramo del Parlamento, mentre l’altro esamina la finanziaria in senso stretto. Ma ciò cozza con i regolamenti parlamentari.
La tenaglia tra ammonimenti internazionali, richieste dei Ministeri e ciclo internazionale (nonché possibilità di decoupling) sono sfaccettature dello stesso problema. Per tenere il disavanzo al 2,2% del pil, nel 2008 l’economia italiana deve crescere almeno dell’1,7%. E’ uno scenario improbabile: le stime econometriche parlano dell’1,5% e sottolineano un alto grado di rischio.
Il 20 settembre, ad esempio, il Centro Studi Confindustria (Csc) ha presentato stime di un mero 1,3%. Il quadro potrebbe essere ancora peggiori se si è trascinati da un ciclo economico negativo Usa.
Nell’ultimo fascicolo di Economic Policy, Philip R: Lane dell’Università di Dublino e Gian Maria Milesi-Ferretti del Fondo monetario pubblicano un saggio su Europe and Global Imbalances da cui si ricavano gli stretti nessi tra il ciclo economico Usa e quello dell’Ue- dell’Italia in particolare. Più che di rischio si dovrebbe parlare di incertezza in quanto le stesse autorità monetarie americane (come si vede dal dibattito di queste settimane sui tassi d’interesse) sembra stiano andando a tentoni.
Molti Ministeri si considerano, invece, in acque tanto sicure da potere portare conti salati a Via Venti Settembre: tre lustri di riduzioni di numerose voci di spesa (specialmente acquisti di beni e servizi e investimenti) ed il tanto parlare di”tesoretti” che si scoprono a destra e a manca (l’ultimo di 8 miliardi di euro è spuntato fuori il fine settimana del 15-16 settembre) hanno destato appetiti per spese aggiuntive di circa 22 miliardi di euro.
Come effettuare scelte tra tante domande, poche risorse e un quadro generale di incertezza? Sono in corso bracci di ferro tra TPS e VVV (Vice Vincenzo Visco), da un lato, e i loro colleghi di Governo, dall’altro. Nonché una buona dose di nasometria. Parte importante della strumentazione tecnica costruita faticosamente dall’Istat tra la fine degli Anni 80 e la prima metà degli Anni 90 (per migliorare le scelte in situazioni come l’attuale) è finita sotto la scure dei tagli del 1996 – quando Romano Prodi era a Palazzo Chigi – e non è più stata aggiornata (i dati della matrice di contabilità sociale sono rimasti al 1994) ed è ora inservibile.
21 Settembre 2007 finanziaria pensioni tasse teso
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