La crisi dei mutui Usa (e dei Cdo- Collateralized debt obligations) ha fatto tremare i mercati in agosto ed indotto le banche centrali ad una politica monetaria maggiormente “accomodante” (alle esigenze di crescita economica reale – n.d.r), ma, accanto a molti costi, ha avuto un beneficio: porre in primo piano il problema di dare una casa a chi la cerca. Il Tempo ha dedicato una pagina all’argomento (domenica 2 settembre) ed ha messo in rilievo cosa può (e dovrebbe) fare il fisco e cosa possono (e dovrebbero) fare la banche. Non basta, però, una riduzione del costo di transazione per ciascuna compravendita immobiliare (il più alto al mondo dopo quello della Corea del Sud). Ci vogliono anche interventi mirati alle fasce deboli ed a coloro che in passato hanno avuto un record creditizio non buono (ritardi nei rimborsi di prestiti, vere e proprie insolvenze, pignoramenti dello stipendio).
Il secondo problema è più diffuso di quanto non si creda; comporta a molti di non avere mai accesso al credito perché in Italia non esiste una cancellazione automatica dal Sistema di Informazioni Creditizie (in termini colloquiali la Centrale Rischi): se ci si finisce anche soltanto per il ritardo nel pagamento di una cambiale, si resta con una macchia nera per dieci anni (se non di più) a ragione dell’inefficienza tutta nostrana che permea pure queste procedure. Pochi sanno che esiste un meccanismo telematico (www.cancellazionecrif.org) che consente di sollecitare la cancellazione on line. Non è, comunque, tema di politica pubblica, ma di iniziativa dei singoli interessati.
Sono, invece, argomenti di politica pubblica quelli relativi al “piano casa” che verrebbe varato insieme alla legge finanziaria. Sono allo studio varie misure, spesso frammentarie e scollegate: a) maggiori sgravi tributari per le abitazioni date in affitto concordato; b) finanza di progetto con partnership pubblico-privato (si parla di attivare il fondo F21 nato da una costola della Cassa Depositi e Prestiti) per l’”housing sociale” (ciò che un tempo si chiamava, più eloquentemente, edilizia economica e popolare).
La International Property Guide traccia un parallelo tra la situazione italiana e quella francese : ci sono molte somiglianze (alta percentuale dei proprietari delle case in cui abitano, cambiamento della geografia demografica, aspetti tributari e normativi). Gli esperti nominati dal Governo per affrontare (e risolvere) il problema farebbero bene a studiare la “loi Borloo” promulgata il 18 dicembre 2005 e soprattutto la sua esperienza applicativa . Con una serie di strumenti (tra cui una buona dose di finanza di progetto e di contributi ai tassi d’interesse sui mutui ), gli autori della legge , Jean Louis Barloo . e Yves Jego, ritengono di riuscire a portare da 80.000 l’anno nel 2004 a 120.000 l’anno nel 2009 le nuove unità di “housing sociale” da poter mettere sul mercato a prezzi medi sui 100.00 euro ciascuna. Alcuni gruppi (sia cattolici come la Fondation Abbé Pierre sia di sinistra radicale come Attac) affermano che la legge favorirà i redditi bassi non i poveri tra i poveri. Un’analisi pubblicata sul numero speciale del settimanale “Problèmes Ėconomiques” dedicato ai problemi della casa in Francia (quello del 29 agosto) suggerisce che le realizzazioni stanno andando come da programma e che l’insieme delle misure previste dalla legge non darà una casa ai poveri tra i poveri come coloro senza fissa dimora ma serve a decine di migliaia di giovani famiglie, colpite (come in Italia – vedi Il Tempo del 28 agosto) da una stagnazione dei salari reali che riguarda l’intera area dell’euro, nonché ad anziani che alla fine della loro vita lavorativa si trasferiscono in altra città (spessa quella dove hanno radici) ed hanno esigenza di un’abitazione semplice ma confortevole. Non sono piccoli risultati.
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