mercoledì 5 settembre 2007

NELLA CRISI DEL SUBPRIME IL DOLLARO RIMANE MINI

La crisi dei Cdo (Collateral debt obligations ; Usa, fondi strutturati che includono una buona dose di mutui subprime) non è ancora del tutto risolta (anche se pare sotto controllo). Molti si sono chiesti quali potranno essere i suoi effetti sul ciclo economico Usa e, di rimando, sull’economia delle aree maggiormente interdipendenti con gli Stati Uniti. Pochi, almeno sulla stampa (sia d’informazione sia specialistica), si sono domandati quali saranno le implicazioni sui cambi e se tali implicazioni potranno essere una cinghia di trasmissione particolarmente incisiva (su economia e finanza del mondo).
E’ interrogativo, però, che si pongono sia gli studiosi sia gli operatori. Max Corden, sui cui libri sul commercio internazionale hanno studiato numerosi Ministri e Direttori Generali di dicasteri economici e finanziari risponde con un sorriso:a suo avviso si drammatizza eccessivamente il disavanzo dei conti con l’estero Usa poiché si tratta soltanto di uno squilibrio temporaneo tra transazioni finanziarie e transazioni reali di cui le tensioni sulle Borse possono accelerare la cura. Tale cura, però, può comportare un ulteriore deprezzamento del dollaro. Un lavoro del servizio studi Bce (in uscita in settembre come working paper n. 790) conclude un’attenta analisi econometrica che shocks nei mercati azionari ed immobiliari hanno inciso in misura significativa (sino al 32%) sulla bilancia dei pagamenti Usa in un arco di 20 trimestri recenti . E’ un’incidenza notevolmente maggiore di quella da attribuirsi alla bilancia commerciale (sino al 7%).
Cosa vogliono dire queste analisi in termini pratici? Nonostante la leggera flessione del valore internazionale dell’euro nei giorni più “caldi” del subprime – quelli attorno a Ferragosto- , ci sarebbe un’inversione di tendenza (ossia nuovo deprezzamento del dollaro) nei prossimi mesi, specialmente se la Federal Reserve ritocca all’ingiù l’interbancario e la Bce all’insù il pronto contro termine (o resta immobile) . Inoltre, dati ancora frammentari del Fondo monetario, indicano che i Paesi a bilancia dei pagamenti “molto forte” (Cina in primo luogo) stanno accelerando il processo di conversione di parte delle riserve dal dollaro Usa all’euro- hanno già perso in termini di valorizzazione dei titoli del Tesoro Usa e temono di perdere ancora di più con i movimenti dei cambi.
Goldman Sachs e Merryll Lynch prevedono che l’euro arriverà a 1.42 dollari Usa entro la fine dell’anno. Lo conferma Currency Direct di Londra: nei giorni della credit crunch i cambisti sono saltati sul dollaro in quanto moneta rifugio in un trambusto che si pensava sarebbe diventato mondiale, ma adesso (dopo la forte infusione di liquidità da parte della Bce e , in misura più modesta della Fed) si viaggia verso una stabilizzazione attorno 1.40 dollari per euro. “L’occhio del ciclone – aggiunge una lettera di Merrill Lynch ai propri investitori – è negli Usa; quindi, le aspettative per un deprezzamento ulteriore del valore internazionale della sua moneta”.
Quali le implicazioni per Paesi come Francia, Germania ed Italia alle prese con la preparazione delle rispettive leggi di bilancio? Si può orgogliosi del fatto che la propria moneta acquisisca una quota maggiore delle riserve mondiali. Ma l’orgoglio costa, specialmente in termini di export , quando implica un apprezzamento del cambio. Il Fondo monetario sta mettendo a punto l’Economic Outlook (che verrà presentato tra un mese e mezzo): si parla un ritocco al ribasso per la crescita Usa (il prossimo non sfiorerebbe il 2%) e dell’area dell’euro (nel 2008 il consensus forecast è il 2,3%). Per l’Italia, il Ministro dell’Economia e delle Finanze ha già avvertito che la crescita l’anno prossimo sarà attorno all’1,8% (non il 2% previsto nel Dpef). Nell’aggiornamento del Dpef, è verosimile che il freno all’export (dovuto in certa misura al cambio) unitamente ad altre determinanti, abbassi la crescita all’1,5%. Ciò vuol dire drastiche misure dal lato della spesa. Se si vuole mantenere la parola di non effettuare aggravi fiscali.

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