lunedì 30 luglio 2007

PERCHE’ IL PROTOCCOLO SULLE PENSIONI TOGLIE AI POVERI PER DARE AI RICCHI

Se l’Italia fosse divisa in due sole categorie – i “ricchi” ed i “poveri” – il Protocollo sulla previdenza (allo stato delle informazioni fornite sino ad oggi) toglierebbe ai secondi per dare ai primi, E’ essenziale, quindi, che prima di presentarlo al Parlamento , o di includerne aspetti significativi, nelle legge finanziaria, il Governo fornisca analisi quantitative dettagliate non solo sulla “sostenibilità” dell’intesa in termini di probabili andamenti della finanza pubblica ma anche sugli “aspetti distributivi” delle misure. La metodologia da seguire è quella adottata per anni nei rapporti del Cnel in materia di aspetti distributivi degli impatti delle leggi finanziarie. Potrebbe, anzi, essere un compito da affidare a Villa Lubin in quanto ivi sono rappresentate le parte sociali e fanno parte del Consiglio anche esperti di economia e finanza nominati dal Presidente della Repubblica e dal Presidente del Consiglio. La sede sarebbe, quindi, bi-partisan o quanto meno non legata a logiche di schieramento.
Toglie alle categorie a basso reddito – costituite secondo le più recenti statistiche Istat principalmente da giovani, da donne e da residente del Mezzogiorno – sia perché non elimina le principali storture distributive della normativa in vigore sia perché ne aggiunge altre.
Le distorsioni che non elimina sono le seguenti: a) il vero “scalone”, anzi la “scalinata”- ossia i 18 anni per effettuare una transizione che altri Paesi hanno effettuato in tre anni e che, tenendo conto delle pensioni di reversibilità, farà sì che, nel nostro Paese, sino al 2030 circa ci saranno pensionati con elevati trattamenti “retributivi” (i “misti”) e pensionati con bassi trattamenti “contributivi”; b) le regole per la “totalizzazione” che non consentono di contabilizzare periodi contributivi inferiori a sei anni penalizzando giovani, donne e meridionali (caratterizzati da carriere frammentate). Correggendo a) – come fatto nel resto del mondo – si sarebbero trovate, all’interno del sistema previdenziale, le risorse per correggere b).
Altre distorsioni distributive che aggiunge e misure che colpiscono le fasce basse di reddito e di consumi (a vantaggio dei 60.000 l’anno che fruiranno di pensioni di anzianità, in gran misura sindacalisti o assi portanti della triplice) sono:
a) l’aumento di contributi sulle retribuzioni dei lavoratori autonomi (e la più alta età legale per la pensione di anzianità richiesta a questi ultimi);
b) l’introduzione di nuovi balzelli occulti, come quello sui pensionati e sui dipendenti del settore pubblico allargato di cui al decreto ministeriale del 7 marzo scorso (un contributo “volontario” dello 0,35% sugli stipendi lordi e dello 0,15% sulle pensioni lorde attuato per silenzio assenso, non pubblicizzato ed a cui si può recedere, senza essere rimborsato per quanto versato senza esserne consapevole, soltanto attraverso una complicata procedura);
c) nuovi aumenti contributivi palesi da applicarsi, secondo il Protocollo, se l’eventuale fusione degli istituti previdenziali (in gergo il maxi-Inps) non produrrà risparmi annui di 3,5 miliardi di euro. Gli esperti ritengono i risparmi dell’operazione saranno trascurabile: abbiamo già contributi pari al doppio di quelli francesi e tedeschi e quattro volte quelli britannici. Entreremo nel Guinnes’Book of Records in materia di oneri sul costo del lavoro, perdendo, secondo stime preliminari, circa mezzo milione di occupati (tutti nelle categorie meno protette).
Auguriamoci di essere smentiti da analisi cogenti e bi-partisan.

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