Il Presidente della Camera, Fausto Bertinotti è mesto e preoccupato. Non tanto per il futuro della coalizione che lo ha portato all’alto seggio di Montecitorio, quanto per il Paese e per l’avvenire del sistema politico italiano in generale. Ha letto con attenzione l’ultimo saggio di Roberto Petrini, cantore, anzi rapsode, del declino dell’economia italiana (a cui ha dedicato una vera e propria trilogia. Nel lavoro appena pubblicato, “L’economia della pigrizia – Inchiesta sul vizio italiano”, Petrini fotografa un’Italia piatta e pigra, dallo sbadiglio facile, nella quale qualsiasi progetto di miglioramento in ogni campo trova sempre un’accanita schiera di oppositori. E il risultato è che si propaga sempre di più una cultura anti-industria, anti-ricerca, anti-innovazione – caratteristiche che non possono non turbare chi è stato per anni alla guida del maggiore, e più agguerrito, sindacato del manifatturiero. Petrini ha sempre avuto il centro sinistra nel cuore, ma attribuisce il male oscuro della società italiana, per appunto la pigrizia, aduna classe politica che rimanda, procrastina, decide di non decidere: come se i problemi di cui si deve occupare, alla fin fine, riguardassero altri e non i cittadini.
L’atto d’accusa, quindi, è netto e rigoroso. Riguarda specialmente l’Italia? Due studiosi italiani che lavorano all’estero, Andrea Mattozzi (del California Institute of Technology) e Antonio Merlo (della University of Pennsylvania), hanno inviato al Presidente della Camera il loro ultimo saggio – “Mediocracy” (“Mediocrazia- ossia il potere dei mediocri”) ancora in circolazione limitata come NBER Working Paper No. W12920. E’ un’analisi teorica , ma Mattozzi e Merlo non nascondono di averla basata sul “caso Italia”. La ricerca studia i metodi reclutamento iniziale nei partiti e costruisce un modello di reclutamento politica in cui i partiti sono in concorrenza con le lobby dell’industria, della finanza, del commercio e via discorrendo. Anche ove i partiti potessero avere la prima di scelta (le lobby pagano di più ed offrono carriere più stabili), decidono di reclutare i mediocri al fine di evitare che i loro leader siano minacciati, o meglio insidiati, dall’interno.
Secondo Francisco J. Gomes (London Business School), Laurence Klotikoff (Boston University) e Luis M. Viceira (Harvard Business School) ciò è all’origine del fenomeno che denominano “The Excess Burden of Government Indecision” (“Il peso eccessivo dell’indecisione dei Governi”) pubblicato come NBER Working Paper No. W12859. La mediocrità ha come conseguenza la tendenza a procrastinare quando si devono dare soluzioni a problemi di politica pubblica. Ciò genera un onere molto forte sulla collettività. Il lavoro contiene simulazione econometriche e scenari controfattuali di un tema di politica pubblica Usa, che – pensa Bertinotti – potrebbe applicarsi anche all’Italia: i ritardi in materia di decisioni sulla previdenza pubblica (il Rapporto della Commissione Presidenziale in materia è stato pubblicato nel 2001) e le implicazioni (in termini di incertezza) su consumi ed investimenti delle famiglie e su strategie delle imprese. Secondo le stime quantitative del gruppo di ricerca, l’onere è pari allo 0,6% delle risorse di famiglie ed imprese- una pietra di piombo sull’economia Usa (e, quindi, sul resto del mondo). Possiamo permetterci uno spreco tale? Si chiede Bertinotti, consapevole che in Italia sta crescendo un clima poco favorevole ai costi della politica . E che non si sono ancora messi in conti gli oneri delle indecisioni derivanti da un processo di selezione che pare favorire i mediocri.
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