giovedì 19 luglio 2007

LE NOZZE DI FIGARO

Pur se messa in scena al Burgtheater di Vienna il primo maggio del 1786, ossia quattordici anni prima dell’inizio del nuovo secolo, Le Nozze di Figaro di Wolfgang Amadeus Mozart viene inclusa, nelle storie dell’opera lirica, tra le quattro grandi commedie in musica del XIX secolo. Le altre tre sono Il Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini I Maestri Cantori di Norimberga di Richard Wagner e Falstaff di Giuseppe Verdi. Il XIX è stato un secolo complesso – di rivoluzioni, di movimenti di unità nazionali, di graduale apertura del suffragio politico e di introduzione della democrazia parlamentare, di individuazione della questione sociale – ma , pur sempre, un secolo che sapeva meditare ridendo e facendo ridere anche nella forma più alta di arte scenica, la “musa bizzarra e altera” dell’opera lirica. Il XX secolo, breve e crudele secondo la definizione degli storici e dei politologi, ci lascia unicamente un’immensa commedia in musica Il Cavaliere della Rosa di Richard Strauss, seguita (a distanza) da La Rondine di Giacomo Puccini e da lavori (come Il pipistrello di Johann Strauss jr e Vedova Allegra di Franz Léhar) più vicini al genere nuovo (e volutamente meno alto) dell’operetta che, a sua volta, anticipava il musical.
Nozze , anche se legata ancora ai canoni del XVIII secolo (, i “numeri chiusi”, i recitativi accompagnati dal cembalo o dal forte-piano, l’ouverture che anticipa i temi dell’opera e la divisione in due atti , diventati, in effetti, quattro, ma mantenendo due soli finali, per la mera lunghezza del lavoro, oltre tre ore al netto degli intervalli), è a pieno titolo nel XIX secolo.
In primo luogo, il riso (ed il sorriso) sono intrisi di ambiguità. L’azione scenica (e la scrittura musicale e vocale) possono essere interpretati in vario modo: a) uno sguardo disincantato sulle debolezze umane, quali si manifestano in una “folle giornata” (ed in una ancor più folle nottata); b) varie declinazioni dell’amore (da quello coniugale a quello sensuale a quello erotico); c) una rivoluzione femminista e sociale (in cui la contessa e la propria cameriera si alleano per sconvolgere i piani del conte e far sì che, alla fine della giornata e delle nottata, ritorni l’ordine e ciascuno finisca sotto le lenzuola appropriate). In secondo luogo, sull’intero lavoro domina la tolleranza (concetto con cui Voltaire spalanca il XIX secolo al motto della “massima intolleranza nei confronti dell’intolleranza”) e che, adombrata anche nel Barbiere, diventerà centrale nei Maestri Cantori ed in Falstaff, ponendosi come idee guida dell’Ottocento. E con la tolleranza, c’è inevitabilmente anche la melanconia per gli anni che passano e per gli habits and mores che svaniscono o più semplicemente cambiano.
Sotto il profilo musicale, Mozart riforma drasticamente (forse senza accorgersene) le “convenzioni” del XIX secolo sin dalla ouverture in cui vengono adombrati tolleranza e melanconia pur nel colore e calore gioioso e festoso che introduce, e chiude, la “folle giornata”. L’aspetto principale, però, è la facilità con cui dai recitativi si scivola nei numeri musicali e, di converso, dai numeri musicali nei recitativi. E’ un procedimento geniale in cui si mantengono i “canoni” dell’opera buffa e del dramma giocoso ma, al tempo stesso, li si superano. Un procedimento che raggiungerà il suo apice poco tempo dopo in Così fan tutte.
Coniugando l’ambiguità dell’intreccio e del libretto con l’innovazione della scrittura musicale e vocale, Nozze si presta ad una vasta gamma di letture, comprensibili a pubblici molto differenti. Ho il ricordo di un’edizione piuttosto modesta della Washington Civic Opera che tuttavia incantò mia figlia (allora non aveva ancora 6 anni): pur stanca a ragione della durata del lavoro, si risvegliò al Deh vieni non tardar di Susanna e seguì incantata il finale secondo. Ho anche quello di una versione da “commedia nera” vista a Praga verso il 1995; di una edizione volutamente povera (di scene e di costumi ma non di idee) ideata da Giuseppe Proietti a Spoleto alla metà degli Anni 80, della splendida commedia di atmosfera creata da Strehler per l’Opéra di Versailles all’inizio degli Anni 70 e tenuta in cartellone per decenni alla Scala ed all’Opéra di Parigi; della commedie a sfondo sociale (molto differenti) di Visconti (Opera di Roma) e di Martone (San Carlo), del tocco delicato con cui la affrontò Quirino Principe, della pièce elegante (in costumi Anni Cinquanta) offerta da Gustav Kuhn al Lauro Rossi di Macerata all’inizio degli Anni 90. E di tante altre letture, tra cui almeno quattro viste ed ascoltate in quella vera e propria bomboniera che è il Théâtre de l’Archevêché, qui a Aix-en-Provence.
Alcuni anni fa, sotto il cielo della Provenza, un’edizione “moderna” mi aveva deluso. Non mi ha deluso affatto questo ultimo allestimento, co-prodotto con il Teatro d’Opera del Lussemburgo ed il Bunkamura di Tokio, ma già prenotato da altre fondazioni ed enti lirici. La caratteristica di fondo è di presentare Nozze come un intrigo, quasi una sex comedy, tra giovani . Il Conte (Nathan Gunn) e la Contessa (Kate Royal) non sono una coppia di mezza età dal rapporto consunto (come vuole ormai la tradizione) ma coetanei di Figaro (Giorgio Coaduro) e di Sussanna (Malin Christensson) , giovani adulti distanti tanto dai due adolescenti, Cherubino (Malena Ernman) e la sua fidanzatina Barbarina (Marie-Bénedicte Souquet) , quanto da Marcellina (Marie McLaughlin) e da Bartolo (Simon Kirkbride). Il gioco delle quattro coppie si svolge in ambienti in cui dominano i colori tenui (grigio, rosa, panna): le gags inventate dal regista Vincent Boussard risaltano ancora di più. In questo intrigo non c’è spazio per una lettura politico-sociale. Gli elementi scenici, l’attrezzeria e i costumi si riferiscono ad un’epoca tra la fine del Settecento e l’inizio del Novecento. Ma non si respira aria di rivoluzione francese o di movimenti di unità nazionale. E’ una partita a scacchi tra giovani (e qualche meno giovane) dove la posta in gioco è il materasso (che troneggia in tutto il primo atto). La vincono due donne belle e sensuali (per l’appunto la Contessa e Susanna) dopo una girandoli di equivoci.
L’elemento di successo è essenzialmente nella parte musicale – e l’orchestra segna molti punti sulle voci. Daniel Harding ha ormai 32 anni, una sposa e figli. Non è più l’enfant prodige che a 16 anni sbalordì per la perizia, l’intelligenza e la maturità con cui sapeva concertare il Pierrot Lunaire di Schőnberg e che a 22 anni venne scelto da Claudio Abbado per alternarsi con lui nella concertazione di un Don Giovanni ormai di riferimento – la regia era di Peter Brook ed in tre anni ha girato per Europa, Usa ed Asia mietendo successi. E’ concertatore di grande maturità con un’intesa molto stretta con la “sua” Mahler Chamber Orchestra – un complesso perfettamente adatto all’orchestrazione leggera di Mozart. Anche se poco apprezzato da alcuni critici italiani, è tra i pochi a sapere cogliere lo scivolare da recitativi a numeri e viceversa che – come si è detto – rappresenta l’innovazione principale del Mozart di Nozze. Minuto e scattante (grande appassionato del calcio italiano, ma non permette di svelare quale è la sua squadra preferita), Harding dirige a memoria e con un arco largo del braccio (per questa ragione ha litigato con l’orchestra de l’Opéra National di Parigi) al fine di cogliere sfumature (specialmente dagli archi e dai fiati) che potrebbero essere difficili da afferrare data l’insostenibile leggerezza degli organici mozartiani (alla prima del Don Giovanni – vale la pena tenerlo a mente – il salisburghese disponeva solo di cinque (5) violini). Harding accarezza la partitura quasi sensualmente evidenziando il delicato equilibrio sia tra Settecento e Ottocento sia tra tolleranza ed ambiguità. Accelera i tempi nei momenti più apertamente comici (quali la scena della scoperta di Cherubino nella stanza di Susanna alla fine del primo atto) per dilatarli in languidi abbandoni in quelli sentimentali e sensuali (le due principali arie della Contessa, il gioco erotico tra Figaro e Susanna nel giardino illuminato dalla luna). In breve, una concertazione di riferimento.
Harding, inoltre, sa di avere sul palcoscenico un cast giovane ed internazionale , di cui non deve mai coprire la voci. Sotto il profilo vocale, però, insorgono problemi – curabili nel lungo periodo di repliche programmato. In primo luogo, solo uno dei protagonisti Giorgio Caoduro (Figaro) è di lingua madre italiana. In vario grado, quindi, la dizione lascia a desiderare: molto buona quella di Nathan Gunn (il Conte), Kate Royal (la Contessa) e Malin Christensson (Susanna), francamente scadente quella di Malena Ernman (Cherubino) e Marie McLaughlin (Marcellina). Si dirà che in linea di principio lo spettacolo non è destinato ad un pubblico italiano e che i sovrattitoli hanno la precisa funzione di fare comprendere dialoghi ed arie. Tuttavia, la fusione tra parola e musica è fondamentale in Mozart, specialmente nei lavori su testi di Da Ponte, tanto quanto lo sarà nei due secoli successivi in Wagner e Strauss.
Il ventisettenne Caoduro è già noto in Italia (ha cantato, tra l’altro, nel circuito lombardo, a Bologna, Genova e Torino): il suo è un Figaro dalla collera (ove non dalla violenza) facile – lo acquietano unicamente i palpeggiamenti di Susanna. Probabilmente emozionato, ha cantato in modo piuttosto piatto Se vuoi ballare – in essenza la sua cavatina- ma si è meritato l’applauso a scena aperta con Aprite un poco gli occhi uomini incauti e sciocchi che precede il finale dell’opera.
Di ottimo livello il poco più che trentenne Nathan Gunn; non soltanto è un Conte avvenente ed atletico (deve avere fatto parte di qualche formazione sportiva universitaria a Champain-Urbana nell’Illinois) ma è un vero baritono di agilità, dal legato morbido, dal timbro chiaro e dal fraseggio puntuale. Non sorprende che Harding lo abbia scelto per una delle sue prossime intraprese , Billy Budd di Benjamin Britten a Londra.
Tra le protagoniste femminili, spiccano Kate Royal (la Contessa) e Malin Christensson (Susanna). Alla prima Mozart dà la sfida di entrare in scena con una grande aria (Porgi amor) , di avere uno dei momenti più alti dell’opera (Dove sono i bei momenti di dolcezza e di piacer) e di chiudere lo spettacolo con l’imperioso, ipertollerante ma ambiguo Più docile io sono e dico di sì. Kate Royal sfoggia un grande portamento scenico e notevole maturità vocale: è un soprano lirico in grado di affrontare ruoli ai confini della vocalità del soprano drammatico. Promette di diventare , in futuro, una Marescialla di classe. Malin Christensson è un soprano lirico puro che sboccia in tutte le sue capacità in Deh, vieni non tardar.








La Locandina
Le Nozze di Figaro
Dramma giocoso di quattro atti
Libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart

Direzione musicale Daniel Harding
Regia Vincent Boussard
Scene……………………………………Vincent Lemaire
Costumi………………………………….Christian Lacroix
Luci………………………………………Alain Poisson


Il Conte d’Almaviva Nathan Gunn
La Contessa……………………………...Kate Royal
Susanna…………………………………..Mati Christensson
Figaro…………………………………….Giorgio Caudoro
Cherubino………………………………..Malena Ernman
Marcellina………………………………..Marie MacLauhin
Bartolo……………………………………Simon Kirdribe
Basilio…………………………………….Michael Bennett
Antonio…………………………………...Frédéric Caton

Coro………………………………………Arnold Schőnberg
diretto da Erwin Ortner
Mahler Chamber Orchestra

Festival d’Aix en Provence in co-produzione con Le Grand Théâtre du Luxembourg ed il Bunkamura di Tokio
Aix en Provence 3 luglio 2007. A Aix si replica sino al 21 luglio. Successivamente, le repliche proseguono a Lussemburgo ed a Tokio, a Vienna. Possibile una tournée in Italia nel 2009.

Giuseppe Pennisi

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