Il 24 febbraio 2007 è stata la ricorrenza dei 400 anni dalla prima esecuzione, nel salone degli specchi del Palazzo Ducale di Mantova, de “L’Orfeo” di Claudio Monteverdi, la prima opera lirica rimasta integra e simile a quanto si scrive e si compone anche adesso. C’erano state esperienze precedenti (di pochi anni) principalmente per iniziativa della “camerata fiorentina”, ma – come documenta Anna Maria Monterosso- Vacchelli in un saggio fondamentale sulla nascita dell’opera come genere teatrale e musicale - “L’Orfeo” se ne stacca “per ricchezza di inventiva, bellezza musicale potenza drammatica”. Nikolaus Harnoncourt precisa acutamente che, prima de “L’Orfeo”, i lavori di Emilio de’ Cavalieri, Ottavio Rinuccini, Jacopo Peri , si basavano principalmente su una declamazione con accompagnamento di strumenti a corda. Con “L’Orfeo”, Monteverdi fuse il madrigale con la danza in un nuovo stile di recitativo cantato (e drammatico); ciò aprì la strada ad un nuovo linguaggio musicale (per l’appunto quello dell’opera lirica) in cui la musica, pur seguendo il testo, lo interpretava e drammatizzava. Altro aspetto di grande rilievo: con “L’Orfeo” l’orchestrazione acquista un proprio canone basato sulla differenziazione tra strumenti “fondamentali” (chitaranne, arpa, liuto, cembalo) e strumenti “ornamentali” (principalmente archi e fiuti); il contrappunto del basso continuo collega i due universi. Non solo, ma gli strumenti, e la strumentazione, danno spessore al dramma e caratterizzano i personaggi: l’arpa accompagna il personaggio di Orfeo; il flauto, il liuto, il cembalo i pastori; il trombone ed altri strumenti a fiato gli Dei dell’Oltretomba. Con queste, ed altre innovazioni, si aprono nuove prospettive per il teatro in musica che, in aggiunta, esce dalle corti principesche e diventa spettacolo commerciale.
I 400 anni de “L’Orfeo” vengono celebrati in tutti il mondo: il 24 febbraio alla Staatsoper di Berlino è stato riproposto l’allestimento, curato da Trisha Brown e René Jacobs nel 1998 per La Mannaie di Bruxelles- ora in giro per il mondo, un programma di celebrazioni (recite, seminari, convegni) è in calendario a Montpellier ; la britannica Opera North ed il Teatro dell’Opera di Oslo lanciano una grande nuova edizione in co-produzione con il Glimmerglass Festival americano; in numerosi Paesi viene riproposta sia in DvD sia soprattutto nei canali televisivi analogici (e gratuito) il film dell’opera con la regia di Jean-Pierre Ponnelle e la concertazione di Nikolaus Harnoncourt.
L’elenco potrebbe continuare in quanto pure in alcuni Paesi asiatici, nonché in Australia, viene celebrato, con i 400 anni de “L’Orfeo”, l’inizio del teatro d’opera- un genere nato italiano, rimasto inconfondibilmente italiano sino a tempi recentissimi ed ancora considerato all’estero come il più efficace ambasciatore dell’Italia e del “made in Italy”. Proprio nel nostro Paese, i 400 de l’”Orfeo” sono stati trascurati. Il titolo non figura nei programmi né delle maggiori (e sovvenzionatissime) fondazioni lirico sinfoniche. Ci sono state, è vero, messe in scene (per una o due sere) a Cremona ed a Parma (Teatro Farnese). L’iniziativa di maggior rilievo è stata quella di Concerto Italiano, guidato da Rinaldo Alessandrini. A 20 anni dalla sua fondazione, l’ensemble si è imposto tra i complessi che hanno rivoluzionato i criteri d'esecuzione della musica antica, a partire dal repertorio madrigalistico – e monteverdiano in particolare – fino a quello orchestrale e operistico per il repertorio settecentesco. Concerto Italiano ha presentato un nuovo allestimento de “L’Orfeo” il 22 febbraio a Roma al Teatro Olimpico su iniziativa dell’Accademia Filarmonica Romana. Lo ha portao, a Bruges il 24 febbraio (in coincidenza con altre iniziative nella data del 400nario). Segue una tournée in Spagna (dove il 400nario desta più interesse che in Italia), la partecipazione al Festival di Musica Barocca di Beaune in Borgogna e l’approdo (ancora per solo una o due serate) al piccolo Teatro dei Rozzi nel quadro della Settimana Chigiana organizzata dalla locale Accademia. La ricorrenza è stata il motoro E’ stata, invece, il motore per rimettere in pista un’altra opera importante (e poco rappresentata in Italia) “Orfeo e Euridice” con cui Christoph Willibald Gluck nel 1762, Gluck effettuò una vera e propria riforma del teatro in musica fondendo i mezzi espressivi (parola, musica, danza, mimo) al servizio della verità scenica. Per l’allestimento (lanciato a Ravenna e sino al 18 febbraio in tournée a Modena, Reggio Emilia, Ferrara e Pisa) è stata creata una compagnia ad hoc , formata interamente da giovani e giovanissimi. Una versione in forma di concerto del lavoro di Gluck (con la direzione di Riccardo Muti) è stata presentata al Maggio Musicale Fiorentino.
Poco. Troppo poco. L’occasione avrebbe potuto innescare non solo più frequenti rappresentazioni del lavoro di Monteverdi (l’ultima tournée di rilievo in vari teatri “di tradizione”, ossia senza toccare le grandi piazze, è stata organizzata un lustro fa dall’Accademia Bizantina diretta da Ottavio Dantone) ma anche dibattiti sul mito di Orfeo e riprese di opere moderne (“L’Orfeide” di Malipiero, “Les malheurs d’Orphée” di Milhaud, ad esempio) ad esso ispirate.
Veniamo ora a “L’Orfeo” visto ed ascoltato in una bellissima notte di stelle al Thèâtre de l’Archevêché di Aix en Provence. Come si è detto, è la riedizione di un allestimento ormai considerato “di riferimento” di circa otto anni fa con cui il 24 febbraio la Staatsoper di Berlino ha deciso di celebrare i 400 anni dalla “prima” de “L’Orfeo” e che andrà a Bruxelles, New York ed altrove. Segue la seconda versione dell’opera- quella fatta stampare dal Duca di Mantova in cui il finale è relativamente lieto: il poeta non viene sbranato vivo dalla furie, ma, grazie all’intervento di suo padre Apollo, assunto in Cielo dove potrà essere vicino (però in castità) alla sua Euridice.
Quale fu la portata innovativa dello spettacolo del 1998? E’ ancora valida adesso? L’idea di base dell’allestimento è quella di coniugare la lettura più rigorosa della partitura (da parte di René Jacobs e del suo Complesso Vocale che suona , come èp noto, su strumenti d’epoca) con un’interpretazione scenica da opera-balletto non come si sarebbe avuta nel Seicento ma utilizzando il lessico della danza americana moderna. E’ un’idea che regge ancora e che porta ad uno spettacolo di squisita eleganza: una scena unica con nel fondale un’enorme sfera che cambia di colore a seconda delle situazioni musicali (prima ancora che sceniche), una danzatrice sospesa su altalena a mezz’aria sin dalla “sinfonia”, cantanti che lavorando d’intesa con danzatori professionisti devono essere in grado (se non di ballare) almeno di mimare a tempo e di avere capacità atletiche.
Per realizzarla, occorre necessariamente effettuare alcuni compromessi: gran parte dei ruoli (le eccezioni sono quello di Orfeo, cantato da Stéphane Degout, e quello di Messaggera/Speranza/Musica, affidato a Marie-Claude Chappuis) sono attribuiti a giovani dell’Académie Européenne de Musique ,che quest’anno segue un programma di alta formazione imperniato su Monteverdi. E’ una scelta appropriata in quanto si tratta di voci relativamente nuove ( o poco note) di cantanti – attori giovani e, quindi, in grado di recitare e mimare (a tempo) con efficacia.
Più discutibile, ma ormai entrata nella prassi, la decisione di affidare il ruolo di Orfeo (scritto per un castrato) non ad un contralto od ad un mezzo-soprano ma ad un baritono (Degout), in alcune repliche sostituito da un tenore (Ed Lyon). Dato che ormai si dispone di alcuni controtenori (che proprio a Aix) hanno dato ottima prova, sarebbe stato filologicamente più corretto utilizzarne uno, invece di abbassare di circa tre ottave il registro.
Ciò nulla toglie alla capacità con cui Degouit ha affrontato il ruolo. Lo seguo da quando nel 1999 (ancora all’Académie) debuttò, a Aix, nel ruolo di Papageno. E’ un tenore mozartiano di razza e stazza come ha mostrato nel Così Fan Tutte (Harding- Chéreau), portato in tuornée in tutto il mondo. Ha provato di sapersi calare in una vocalità di agilità come quella richiesta ne “L’Orfeo”, dando prova di vero virtuosismo cantando Quei campi di Tracia steso sul palcoscenico, diventando toccante in Quale onor di te fia degno ed in Possente spirto, e leggerissimo in quella che in nuce la cavatina Rosa del ciel. Marie-Claude Chappuis svetta in In un fiorito prato. Di grande livello il Caronte di Konstantine Wolff, specialmente in O tu ch’innanzi a morte in queste rive .
René Jacobs – lo sappiamo – preferisce una direzione tersa ed essenziale che nulla concede ai barocchismi di maniera. Crea però effetti stereofonici, disponendo a tratti gli strumenti in varie parti della sala. Tra gli ottoni, spiccano le trombe, tra gli archi la viola d’amore , tre la corde il chitarrone.
LA LOCANDINA
L’ORFEO
Favola in musica in cinque atti con un prologo
Orfeo Stéphane Degout
Messaggera/Speranza/La musica………….Marie-Claude Chappuis
Euridice/Eco………………………………..Ruby Hughes
Ninfa……………………………………….Anouscha Lara
Proserpina/Ninfa………………………….Anna Stephany
Caronte Konstantine Wolff
Apollo/Plutone Christophe Gay
Pastori…………………………………….Académie Européenne de Musique
Danzatori…………………………………Trisha Brown Co.
Direzione Musicale………………………René Jacobs
Regia e Coerografia……………………..Trisha Brown
Scenografie e Luci………………………Roland Aeschlimann
Orchestra ………………………………..Complesso Vocale
Coro……………………………………...English Voices
Aix-en-Provence, 6 , luglio
Le repliche a Aix durano sono il 15 luglio e sono seguite da repliche al Kunsten Festival des Arts a Bruxelles ed alla Brookling Academy of Music di New York.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento