lunedì 30 luglio 2007

ALITALIA, CARTINA DI TORNASOLE DELL’AZIONE DI GOVERNO

Il 27 luglio, il CdA Alitalia esaminerà il piano industriale della compagnia e, quindi, il futuro dell’azienda. Il Ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi ne esclude la liquidazione. Le regole europee, non solo il garbo, impediscono una trattativa privata: l’Alitalia non è né un appartamento di condominio (pur pregionato) né alcune tonnellate di mozzarelle. Una trattativa privata rievocherebbe i fantasmi dell’ “affaire Sme” di circa un quarto di secolo fa, che come l’ombra di Banco fanno speso capolino di chi, nel Governo, si diletta di parapsicologia. Si parla di commissariamento. Sarebbe utile precisare cosa si intende: la normativa italiana ne prevede due tipologie– il commissariamento in base alla legge Prodi (il cui obiettivo è cedere rami di azienda) e il commissariamento in base alle legge Marzano (il cui obiettivo è ristrutturare non cedere). Il primo è stato applicato dozzine di volte negli ultimi 30 anni; il secondo principalmente per la Parmalat. Su Il Tempo abbiamo sottolineato più volte l’esigenza, e l’urgenza, di fare una gara vera (di livello internazionale) non uno sbrindellato beauty contest – inconcludente e tale da dare voce a tutte le possibili illazioni (a torto od ad ragione).
Non ripetiamo, ancora una volta, la nostra proposta che coniuga efficienza, trasparenza e salvaguardia dell’azienda. Occorre enfatizzare che la prossima mossa su Alitalia è la cartina di tornasole di come l’azione di Governo viene giudicata dai mercati internazionale. Il Ministro dell’Interno Giuliano Amato ricorda un bel libro da lui pubblicato 30 anni fa al Mulino in cui analizzava la politica industriale in Italia e criticava il modo “impiccione” e “pasticcione” con cui veniva formulata ed applicata.
Verosimilmente, utilizza (senza pronunciarli) gli stessi aggettivi passando in rassegna un anno di dirigismo in salsa bolognese caratterizzato da interventi goffi, oltre che “impiccioni” e “pasticcioni”. Si è iniziato con quelli sulla vicenda Abertis-Autostrade e si è arrivati ad un beauty contest da cui tutti i concorrenti sono scappati. Tra una disavventura e l’altra, il pastrocchio Telecom (altra occasione di fuga per il partner internazionale più qualificato), il riesplodere della vicenda Unipol-Bnl (altro fantasma di Banco della politica dell’Italia governata dalla sinistra), la storia infinita della maxi-agenzia (viene riesumato il termine “carrozzone”) che dovrebbe gestire (ed appaltare) tutta la formazione pubblica e dell’altro “carrozzone” in cantiere, quello per gli aiuti al terzo mondo
Amato probabilmente è tra i pochi a conoscenza dell’ultima chicca: la Brookings Institution, dove ha lavorato nel 1981-82 e che visita spesso quando non ha cure di governo, ha pubblicato un lavoro di spessore di Caroline Cecot, Robert W. Hahan e Andrea Renda dove si fanno le bucce a come viene fatta l’analisi dell’impatto della regolazione (a volte mostrata come fiore all’occhiello del Governo): le procedure adottate non tengono alcun conto degli aspetti economici. Quindi, il prodotto è futile. Per utilizzare un termine elegante.
Un episodio poco noto, per piccolo che sia, è indicativo del modo “impiccione” e “pasticcione” (per utilizzare il lessico di Amato) con cui procede un dirigismo che si richiama più all’amministrazione di Pio IX (quale dipinta nei sonetti del Belli) che a quella di Colbert: le modalità con cui si è esteso erga omnes dal primo giugno la procedura Durc (Documento unico di regolazione contributiva)- nata per combattere il sommerso in campi specifici (quali l’edilizia) e trasformata in un onere tanto grave per le piccole e medie imprese (il Durc deve essere rinnovato ogni tre mesi) da impedire loro di lavorare con le pubbliche amministrazioni – anche nei comuni più piccoli dove c’è una unica cartoleria per approvvigionarsi di cancelleria. Estrapolando da uno studio di Francisco J. Gomes (London Business School), Laurence Klotikoff (Boston University) e Luis M. Viceira (Harvard Business School) gli “impicci” ed i “pasticci” costano all’Italia lo 0,6% del valore aggiunto. Pensiamoci bene prima di farne ancora con Alitalia.

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