Riuscirà l’Europa, in particolare l’area dell’euro, a mantenere il tasso di ripresa dell’anno scorso e del primo semestre di quello in corso? Nella tornata di previsioni emessa nel fine settimana del 21 luglio, i 20 maggiori istituti econometrici internazionali (tutti privati, nessuno italiano) danno una risposta non incoraggiante: prevedono una flessione dall’aumento del pil 3% circa per il 2007 ad una media del 2,3% per il 2008 (ma per ben 7 dei 20 si farebbe fatica a sfiorare il 2%). “The Economist” di Londra ha avvertito , in un duro editoriale, che se l’area dell’euro non coglie l’occasione di effettuare le necessarie riforme (l’elenco è sempre lo stesso: welfare, mercati dei fattori e dei prodotti) in una fase di ripresa (per modesta che sia), non solo la fiaccherà ma renderà più difficile farle successivamente. In questo contesto, a livello dell’Eu diventerà impossibile non solo raggiungere ma anche solamente sfiorare l’obiettivo definito nel marzo 2000 dai Capi di Stato e di Governo secondo cui l’Europa sarebbe diventata larea pi dinamica delleconomia internazionale entro il 2010 (in termini giornalistici “la strategia di Lisbona”). A livello dell’Italia, sarebbe ancora più difficile restare nell’alveo dei conti pubblici concordato a livello europeo e, al tempo stesso, dare corpo alle misure delineate nel Protoccolo sulla previdenza.
Ove la situazione non fosse sufficientemente complicata, gli occhi sono puntati sulla sessione del Consiglio Bce del 2 agosto; in materia di tassi d’interesse spira un vento rialzista – sia in quanto si avvertano fibrillazioni in materia di prezzi sia per ridurre il divario con quelli Usa. Il rallentamento della crescita e le probabili misure sui tassi sono al centro dell’iniziativa francese a favore di “un deprezzamento competitivo” dell’euro –locuzione utilizzata dal Presidente della Repubblica Nicolas Sarkozy in più di occasione, aggiungendo :”perché non facciamo anche noi quello che fanno i cinesi con lo yuan, i giapponesi lo yen, i britannici con la sterlina e gli americani con il dollaro?”. Tuttavia né Sarkozy né il Ministro dell’Economia, delle Finanze e dell’Impiego, Christine Lagarde, hanno mai chiaramente indicato né cosa intendono è il percorso per arrivarci – Neanche nelle recenti conversazioni tra Sarkozy ed il Cancelliere Tedesco Angela Merkel. Richiedono, principalmente, maggiori muscoli dell’Eurogruppo in materie che sono affidate, dai trattati, alla Banca Centrale Europea, Bce- proposte prontamente respinte ai mittenti dall’Esecutivo Bce.
In questo quadro, si situa una proposta eterodossa, redatta dal più ortodosso dei pensatoi italiani in materia di politica economica internazionale: l’Istituto Affari Internazionali (Iai), fondato dal federalista Altiero Spinelli ed il cui Presidente Onorario è Carlo Azeglio Ciampi. Non solo, Ciampi ha devoluto proprio all’Iai, le cui casse non sono mai state floride (come è prassi dei pensatoi) il Premio Carlo Magno conferitogli per i suoi meriti europei. Negli organi di governo dell’Iai siede, tra l’ altro, il Ministro dell’Economia e delle Finanze, Tomaso Padoa-Schioppa, TPS.
La proposta è in un volumetto appena pubblicato e che sta suscitando un vivace dibattito tra gli addetti ai lavori: “Un bilancio europeo per una politica di crescita” di Maria Teresa Salvemini ed Oliviero Pesce. La proposta, argomentata in un centinaio di paginette dense di considerazioni economiche e giuridiche (corredate dai dati quantitativi essenziali), consiste nel permettere all’Ue in quanto tale (il cui bilancio è pari solo all’1,048 del pil comunitario) di indebitarsi (emettendo titoli sul mercato dei capitali internazionali) al fine di lanciare un piano di spesa addizionale per lo sviluppo (reti transeuropee, energia, ricerca) che nei prossimi cinque o sei anni permetta di spendere tra i 500 ed i 700 miliardi di euro ad integrazione delle risorse nazionali, pubbliche e private. La proposta ha precedenti storici (in primo luogo quello del processo di sviluppo istituzionale ed economico degli Stati Uniti nella seconda metà del’ lOttocento) ed è stata attata attuata con successo dalla Ceca (la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio). Non sarebbe inflazionistica in quanto l’Europa soffre di capacità di produzione non utilizzata (come dimostrato dai tassi di disoccupazione). Non spiazza titoli pubblici o di imprese. Ha soprattutto il vantaggio della semplicià: non richiede complicate strutture organizzative e decine di indicatori, come contemplato nella “strategia di Lisbona”. Ci vuole soltanto una buona capacitài formulazione e valutazione di progetti. Ha un ostacolo giuridico: il vincolo del pareggio annuale del bilancio comunitario, inserito nel Trattato di Roma quando si pensava che tale bilancio servisse esclusivamente o quasi a finanziare spese di parte corrente (come stipendi e altri oneri di funzionamento delle istituzioni). Lo si può correggere nel nuovo, e semplificato, Trattato Costituzionale, facendo contenti tutti (da Sarkozy ala Merkel passando per Trichet e Barroso). TPS le mediti in questa calda estate: potrebbe spiazzare tutti al prossimo Ecofin.
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