PENSIONI: E LA TRIPLICE RESTO’ SOLA

Come viene visto nel resto d’Europa l’accanimento con cui il fronte sindacale italiano si sta battendo per mantenere pensioni di anzianità a 57 anni ,o al più portarle gradualmente a 58 anni, ossia la battaglia a proposito dell’abrogazione (o dell’ammorbidimento) dello “scalone” previsto dalla “riforma Maroni” del 2004? La stampa e l’opinione pubblica italiana sono spesso informati dei punti di vista di Commissione Europea, Ocse e Fondo monetario internazione (Fmi) secondo cui l’età media effettivamente di pensionamento in Italia deve essere progressivamente ritardata se non si vogliono mettere a repentaglio i conti pubblici e le generazioni future. E’ anche noto che nei Paesi scandinavi, in Gran Bretagna e in Germania l’età legale minima per avere titolo a percepire assegni previdenziali sta viaggiando verso i 67 anni – si può fruire di una pensione prima di allora se si è stati a lungo in attività davvero usuranti oppure si va “a riposo” e si aspetta l’età legale per percepire dell’assegno. E’ meno noto che negli Usa le “senior citizen associations” (ossia i sindacati degli anziani”) hanno combattuto (e vinto) di fronte alla Corte Suprema una battaglia per non essere costretti ad andare in pensione (quale che sia l’età) se si è abili al lavoro: ciò rappresenterebbe una discriminazioni. Oggi negli Stati Uniti, nella Pa si resta al lavoro spesso sino agli 80 anni se si può e se si vuole; analogamente nel settore privato (se dipendente e datore di lavoro sono d’accordo).
Poco si sa di come i sindacati del resto del mondo (e dell’Ue) in particolare vedono lo scontro sullo “scalone”. Raramente, i sindacati si esprimono negativamente (ed apertamente) sui propri confratelli di altri Paesi. E’ significativo tuttavia che nella vicina Francia un sindacato vasto ed intelligence come Force Ouvrière ha concluso il 29 giugno, a Lilla, il proprio 21simo congresso chiedendo, in pratica, l’abolizione di quel resta delle pensioni di anzianità e di misure per favorire l’occupazione e dei più giovani e dei più anziani. Secondo la risoluzione approvata dal congresso di Force Ouvrière non si dovrebbe andare in pensione (tranne, ancora una volta, i casi di attività davvero usuranti principalmente nel settore industrial-manifatturiero) se non si hanno almeno 40 anni di contributi effettivamente versati. La posizione di Force Ouvrière deve essere vista non solo come una contrapposizione alla proposta del Governo Fillon di portare gradualmente a 41 anni di versamenti per la pensione ma anche come il timore di diventare gradualmente un sindacato di pensionati, sempre più guidato da orientamenti corporativo e sempre meno proteso a difendere gli interessi di tutti- soprattutto dei giovani e di chi lavoro lo cerca senza trovarlo.
A Aix en Provence dal 6 all’8 luglio si tiene l’incontro annuale dell’ anche l’esclusivo (il numero dei soci non può superare 30 e devono essere tutti accademici di rango) Cercle des Economistes (un circolo – occorre rammentarlo – in generale a sinistra del centro). E’ un incontro aperto non solo ad economisti di altri Paesi ma anche ad esponenti delle forze sociali e produttive. Specialmente quest’anno in cui si tratta dell’apporto di culture e religioni al capitalismo del XXI secolo. Il “caso Italia” viene evocato a latere dell’incontro. Per sindacalisti di Paesi europei (dove le pensioni di anzianità non esistono più e l’età della pensione si sta gradualmente alzando – c’è chi dice che si tornerà ai 70 anni delle riforme britanniche di 110 anni fa), la posizione della triplice italiana pare incomprensibile: i pensionati sono già la maggioranza degli iscritti di Cgil e Cisl e minacciano di esserlo presto dell’Uil. Un sindacato di pensionati e pensionandi (ossia persone prossime alla pensione) – afferma un sindacalista belga - diventa presto avulso dai problemi effettivi del mondo del lavoro e, quindi, politicamente irrilevante.
La triplice rischia di restare sola in Europa e nel mondo. Una prospettiva più pericolosa della calcolatrice di Tommaso Padoa-Schioppa.