Ormai e tutto chiaro. Il 17 luglio Il Tempo ha messo a nudo il nuovo prelievo dalle buste paga di pensionati e di lavoratori del settore pubblico allargato che veniva introdotto di soppiatto e senza dare tempo agli interessati di recedere; la denuncia ha costretto l’Inpdap ad una retromarcia, nel silenzio di Tomaso Padoa-Schioppa (TPS), che aveva firmato il decreto del 7 marzo ed era alle prese con la débâcle Alitalia. In effetti, TPS stava affrontando una nuova débâcle che si sarebbe consumata all’alba del 20 luglio: quella sulla previdenza. E’ la prima volta che un Ministro dell’Economia e delle Finanze assicura con un sorriso, ma senza fornire dati dettagliati (quali quelli disponibili presso la Ragioneria Generale dello Stato (Rgs), che opera sotto la sua responsabilità politica), dello “sostenibilità” di un accordo che ha fatto tenere in sospeso il fiato degli esperti, delle istituzioni finanziarie europee, dell’Ue e dei mercati. I dati sono disponibili in quanto il modello della spesa previdenziale della Rgs può fornirli in tempo reale e corredandoli di “scenari controfattuali” (ossi di proiezioni basate su ipotesi alternative dell’andamento sia della spesa sia delle variabili macro-economiche). In passato, Ciampi, Amato, Dini (si veda il bel libro di Paolo Peluffo “Carlo Azeglio Ciampi- l’Uomo, il Presidente) non hanno mai osato presentare un riassetto alla previdenza senza le analisi finanziarie essenziali. De Michelis, nella veste di Ministro del Lavoro, lo fece ben quattro volte nell’arco di due anni (ed allora il modello Rgs era molto più difficile da operare).
TPS dovrebbe spiegare chiaramente in termini professionali (non per nulla è un Ministro “tecnico”) se, con l’intesa, il 16% del pil (o giù di lì) ora destinato alla previdenza aumenta o diminuisce (e di quanto), se si scongiura la stima secondo cui il debito giunga al 180% del pil prima del termine della legislatura e si smentisco le previsioni del Ministero del Lavoro (di cui nessuno pare essersi accorto), secondo cui il saldo negativo dello stato patrimoniale dell’Inps passerebbe dai 120 miliardi di euro (all’ultima conta) a circa 580 miliardi di euro.
L’assordante silenzio si spiega con il fatto che ancora una volta si pensa a qualche contributo e balzello improprio (come già fece Romano Prodi nel 1996) per coprire, quatti quatti, i costi di una riforma che avvantaggia soltanto poche persone (ma danneggia tutte le altre) : il prelievo Inpdap è un indicatore eloquente del modo in cui si pensa di procedere. Noi de Il Tempo ci impegniamo con i lettori a vigilare: setacciando decretoni e decretino e chiamo alle associazioni in difesa dei consumatori (qualche che siano i loro sentimenti politici) di aiutarci in questa funzione di monitoraggio.
Gli obiettivi dell’intesa sono chiari: privilegiare quelle 65.000 persone l’anno già beneficiate dal fruire di pensioni “retributive” (che comportano trattamenti sino al 75% dell’ultimo stipendio), pure se ciò penalizzano coloro che in futuro avranno pensioni “contributive” (con trattamenti, per le carriere dinamiche, pari al 50% dell’ultimo stipendio, e molto inferiori per le altre). Tra queste persone c’è in primo luogo la dirigenza sindacale che incassate a 58 anni laute pensioni di anzianità potrà dedicarsi alla politica, entrare in Parlamento, mettere su un’attività professionale o semplicemente alle crociere reclamizzate sulle loro riviste (come “Libera Età”, della Cgil). La dirigenza sindacale potrà anche scegliere i propri erediti tra i privilegiati che lasceranno fabbriche ed uffici e saranno lieti di fare semi-volontariato per il sindacato. Occorre ammettere che tale operazione dovrebbe inalberare i “riformisti” in seno al Governo, ha già reso furioso la sinistra radical-reazionaria che prima di altri ne ha scoperto il significato corporativo. E’ triste ma se Giuliano Amato non dà seguito ai propri libri freschi di stampa ed Emma Bonino si limita a fare la ritrosa, dobbiamo sperare che Giordano, Diliberto e Pecoraro-Scanio facciano saltare una pessima intesa.
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