lunedì 23 luglio 2007

NEL SUD RIPARTIRE DALLA SCUOLA

Il tormentone Alitalia, la complicata vicenda della previdenza, le crescenti difficoltà dei conti pubblici, l’instabilità di un Governo (ora anche travagliato da scandali-a-go-go) hanno distolto l’attenzione dal problema centrale del Paese: il crescente divario tra il Mezzogiorno ed il resto d’Italia. Anzi, in questi ultimi giorni, è passata quasi sotto silenzio la pubblicazione di tre documenti importanti: la Guida ai Conti Pubblici Territoriali ed il Rapporto annuale del Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e di Coesione (ambedue frutto dell’importante lavoro di analisi che sta facendo il dicastero dello sviluppo economico) ed il Rapporto Svimez per il 2006.
Il quadro è scoraggiante: dal 2000 al 2006, infatti, il Mezzogiorno è cresciuto dello 0,4 % mentre nel resto dell’Ue il tasso di crescita è stato di almeno il 5%. Sud ed Isole sono cresciuti 3 volte meno della Spagna, 4 dell’Irlanda e 5 della Grecia. Non solo: tra i Paesi neocomunitari, nel 2006, Slovenia, Ungheria, Estonia e Repubblica Ceca hanno già raggiunto il livello di sviluppo del Meridione d’Italia. Il Mezzogiorno è ora schiacciato in una morsa competitiva tra nuovi Stati dell’Ue (che sui mercati internazionali possono godere soprattutto di favorevoli condizioni di costo) e Paesi emergenti della sponda inferiore del Mediterraneo dove si sono sapute sfruttare le risorse comunitarie a sostegno dello sviluppo. Sul piano della competitività internazionale, in breve, il Sud e le Isole sono inferiori di 30 punti alla media Ue. Sono riprese le migrazioni dalle regioni in condizioni più gravi (Calabria, Sicilia in primo luogo) con flussi che ricordano quelli immortalati da Luchino Visconti in “Rocco e i suoi fratelli”.

Le geremiadi, però, non portano sviluppo. Quale la leva da utilizzare per cercare di ripartire? Un lavoro del Ministero dello Sviluppo da qualche giorno on line (“Fare i conti con la scuola nel Mezzogiorno” in www.dps.mef.gov.it/materialiuval) apre un nuovo percorso, prendendo l’avvio, con una metodologia rigorosamente quantitativa, dall’analisi delle “competenze” (ossia di quanto effettivamente appreso) dai quindicenni che hanno frequentato le scuole nel Centro-Nord e del Sud. Vengono utilizzati dati comparativi internazionali del Programme for International Student Assessment (Pisa) ed incrociati con statistiche sul livello di reddito delle famiglie, sul grado di accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, sulla spesa per studente, sulla qualità degli edifici scolastici, e così via. Si giunge a conclusioni che possono sembrare paradossali: mentre nel resto d’Europa (e del mondo) i ragazzi provenienti da un contesto familiare ad alto reddito sono anche quelli con maggiori “competenze” , nel Sud e nelle Isole i figli dei “ricchi”, provenienti dai licei (pure da quelli reputati migliori nei singoli contesti territoriali) si situano in media (in termini di conoscenze effettive di base) in una posizione inferiore a quella dei loro coetanei del Centro Nord iscritti alle scuole tecniche ed appartenenti al 25% più svantaggiato della popolazione.
Le implicazioni e le conclusioni sono chiare: senza una politica “nazionale” per la scuola (verso cui incanalare le risorse aggiuntive messe a disposizione dall’Ue per il 2007-2013) e senza un sistema anch’esso “nazionale” di valutazione dell’apprendimento, i programmi di grandi infrastrutturazione, di reti , di circuiti turistici e simili sono tra il futile e l’inutile. A riguardo sono inquietanti le voci – che auguriamoci vengano presto smentite dal Ministro della Funzione Pubblica– della chiusura dei programmi di empowerment gestiti dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione (Sspa) e diretti proprio a questi obiettivi. Al danno (per il Mezzogiorno) si aggiungerebbe la beffa: i flussi finanziari Ue verrebbero ridiretti proprio verso quelle aree che più fanno concorrenza al Sud

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