FINANZA E POLITICA/ Per
salvarsi dopo la Brexit, la Ue deve diventare un club
Il negoziato
per attuare la Brexit è in corso. L'Ue appare in ogni caro in grande
difficoltà. Occorre la teoria dei club del Nobel Buchanan, rielaborata da
Majone. GIUSEPPE PENNISI
11 settembre
2017 Giuseppe Pennisi
LaPresse
Il negoziato
per attuare la Brexit è in corso. E' difficile fare previsioni su chi ne uscirà
vinto e chi vincitore anche solo sotto il profilo dei conti finanziari. Uno
spunto intelligente ed innovativo è stato sollevato da Giandomenico Majone nel
saggio The European Union Post Brexit appena uscito sull'European Law
Journal (2017). E' un saggio che chi ha responsabilità politiche nei confronti
del processo d'integrazione europea dovrebbe leggere e meditare con attenzione.
Majone, nato
nel 1932, è poco noto in Italia (tranne che in un ristretto mondo accademico).
Laureatosi in economia, si è trasferito negli Stati Uniti per studiare scienze
naturali, matematica e statistica. Con questo bagaglio, difficilmente
classificabile nel mondo accademico italiano, la sua carriera si è svolta
specialmente negli Usa dove è considerato uno dei maggiori esperti della valutazione
della regolazione. Ed è grazie al suo libro sulla regolazione nell'Unione
Europea che è tornato, non più in età giovane, sul continente vecchio, chiamato
a fine carriera o quasi, all'Istituto Europeo di Fiesole, dove è professore
emerito. Negli ultimi anni ha pubblicato numerosi libri importanti
sull'integrazione europea quali Europe as the Would-be World Power: The EU
at Fifty, Cambridge University Press 2009; Dilemmas of European
Integration: The Ambiguities and Pitfalls of Integration by Stealth, Oxford
University Press 2005, per non citare che i più noti.
Il suo
ultimo lavoro fornisce una prospettiva molto interessante sulla Brexit.
Nonostante Majone sia un matematico ed uno statistico, l'analisi non è una
valutazione dei costi e dei benefici della Brexit ma una riflessione
essenzialmente politologica.
Pone
chiaramente sul tavolo il problema di fondo: se dopo la Brexit, l'Unione
Europea (Ue) resterà essenzialmente immutata (anche se monca di una sua parte
importante) o effettuerà "un adattamento dinamico" alla nuova
situazione. Ossia ammetterà "l'urgenza di cambiamenti radicali nel proprio
approccio all'integrazione".
In primo
luogo, dovrà riconoscere che non è uno Stato, e tanto meno un Super-Stato. In
secondo luogo, dovrà rinunciare all'obiettivo di trattare tutti (o quasi) i
settori delle politiche pubbliche. L'aspetto più importante, secondo Majone, è
che "un adattamento dinamico" richiede "leadership
istituzionale" e ciò non è compatibile con "il principio secondo cui tutti
gli Stati membri sono uguali". Per mutuare Orwell — diciamo noi — chi
esprime più leadership è più uguale degli altri.
Majone
individua una buona base teorica per una Ue differente e dinamica nella
"teoria dei clubs" del Premio Nobel (liberale e liberista) James M.
Buchanan. Il principio essenziale di una organizzazione funzionale a livello
sovranazionale è che le attività vengano selezionate specificamente ed
organizzate separatamente. Cammin facendo, si potrà riaccendere l'interesse di
una unione politica nella forma di una confederazione, non di una federazione,
tanti e tali (e tanto profonde) sono le differenze tra gli Stati che fanno
parte del "club". Già Tocqueville aveva compreso che le debolezze di
una confederazione aumentano in funzione direttamente proporzionale alla differenza
tra il loro potere nominale ed il loro potere sostanziale. Oggi — conclude
Majone — è essenziale separare l'idea generale dell'integrazione europea con il
modo specifico di darle attuazione.
Una
quindicina di anni fa, nel saggio Europe simple Europe strong,
Frank Vibert della London School of Economics è giunto a conclusioni simili
tramite un percorso differente. Non è stato ascoltato. Con le conseguenze che
oggi si toccano con mano: un'Europa litigiosa e che poco conta nell'agone
mondiale.
© Riproduzione
Riservata.
Nessun commento:
Posta un commento