Perché il Tesoro non fa tesoro
delle proposte sul debito pubblico?
L'articolo
dell'economista Giuseppe Pennisi
Un articolo
di Lorenzo Codogno (a lungo direttore generale per l’analisi economica
del Ministero dell’Economia e delle Finanze) e di Gianpaolo Galli
(attualmente parlamentare del PD) ha riportato all’attenzione della politica e
dell’opinione pubblica un tema centrale all’economia ed alla politica italiana,
da qualche anno rimosso: quello dell’Himalaya del debito pubblico, uno dei
principali freni alla ripresa ed allo sviluppo. Codogno e Galli hanno
riproposto utilizzando un articolo a quattro mani su Il Sole-24 Ore,
ma ottenendo, per ora, una replica unicamente da Giorgio La Malfa.
Silenzio, invece, dalle istituzioni, specialmente dal Prof. Pier Carlo Padoan,
Ministro dell’Economia e delle Finanze.
Andiamo con
ordine. La “rimozione” del debito pubblico dai temi basilari del dibattito
italiano di politica economica è recente. Il debito è stato uno dei temi
centrali della legislatura 2008-2013, al centro di scontri tra il Ministro
dell’Economia e delle Finanze con i suoi colleghi titolari di dicasteri di
spesa. È stato un tema chiave del governo Monti al termine della
legislatura. Occorre ricordare che il quarto governo Berlusconi chiese
al CNEL (non considerato tanto inutile!) di effettuare un raffronto tra le
numerose proposte (su come ridurre il fardello del debito pubblico); il
confronto fu oggetto di un seminario, di cui si può leggere la sintesi sul sito
del Consiglio. Un importante seminario venne organizzato anche dalla Fondazione
Ugo La Malfa (FULM). Il governo Letta si rivolse all’associazione di
studi e ricerche Astrid per un documento che venne consegnato al Ministro
dell’Economia e delle Finanze in carica. Pochi giorni dopo, avvenne “il
passaggio della campanella” e cominciò la strategia della rimozione.
Da un lato,
si sosteneva la tesi che gli italiani sono bravi risparmiatori tanto quanto i
giapponesi e, di conseguenza, il problema del debito pubblico è
controbilanciato da un forte risparmio privato, dimenticando che mentre il 90%
del debito nipponico è collocato all’interno, la metà di quello italiano è
detenuto all’estero e le sue sorti dipendono dagli umori degli investitori
stranieri nei confronti dell’Italia e della sua politica economica. Da un altro
lato, si affermava che gli stranieri (fondi, banche, individui) sarebbero stati
“sereni” se solo lo stock di debito pubblico in percentuale del Pil si fosse
stabilizzato (ma sta crescendo ancora). Da un altro lato, infine, si proponeva
l’ipotesi che, stimolando con più deficit annuale (ossia più debito), si
sarebbe stimolata la crescita e quindi ridotto il rapporto debito: Pil con la
felicità di tutti (beneficiari del deficit, operatori finanziari, Governi). È
quella che chiamerei l’ipotesi “Cretinetti” come Franca Valeri chiama
Alberto Sordi in un vecchio film (1959) di Dino Risi (Il Vedovo).
L’ipotesi
“Cretinetti” è meno stupida di quel che sembra (e di come stata attuata in
questi ultimi quattro anni, spendendo e spandendo in mance elettorali) se fosse
coordinata in un chiaro quadro europeo (con l’intervento se possibile anche del
Fondo Monetario): un disavanzo delle pubbliche amministrazione superiore al 3%
per alcuni anni accompagnato da una severa spending review delle
spese di parte corrente, da un rilancio degli investimenti pubblici valutati da
un comitato internazionale di specialisti di programmi e progetti pubblici
(come venne fatto con il piano trasporti nel lontano 1984-86) e la cui
attuazione sia corredata da serie penali per ritardi ed spese superiori ai
preventivi e da dismissioni di attività patrimoniali dello Stato, delle Regioni
e dei Comuni. Tutto in piano di aggiustamento strutturale definito (e
monitorato) a livello internazionale.
Quale che
sia la strada scelta, è comunque importante che il problema sia stato
posto. Non incoraggia il silenzio assordante di Palazzo Chigi e di Via Venti
Settembre. Il nodo non può essere eluso.
04/09/2017
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