Def, un aggiornamento tinto di
rosa
Il commento
dell'economista Giuseppe Pennisi
Nel corso di
una campagna elettorale lunga diversi mesi, il governo ha approvato un
aggiornamento del Documento di Economia e Finanza rassicurante (Def):
definitiva uscita dalla recessione a due gobbe che ha caratterizzato quasi un
decennio, un consolidamento della ripresa graduale, ma costante, nei prossimi
due anni, un accordo con l’Unione europea (per avere un maggior margine di
manovra in materia di indebitamento delle pubbliche amministrazioni), una
leggera riduzione del rapporto debito/Pil, segno comunque di un’inversione di
tendenza, l’allontanamento delle clausole di salvaguardia (aumento di Iva ed
accise in caso di non raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica
concordati con l’Ue).
I “gufi”
lamentano che si tratta di un aggiornamento Def elettorale per dire che si
cominciano a vedere i risultati del “buon governo” degli ultimi anni. Forse non
hanno tutti i torti ma è doveroso riconoscere che la ripresina è in atto e che
tanto l’Istat quando il Csc (Centro Sudi Confindustria) hanno pubblicato
analisi e previsioni analoghe a quelle confluite nell’aggiornamento Def.
L’Istat è l’istituzione statale deputata a questo fine e la Confindustria
è l’organizzazione degli imprenditori, che, per definizione, dovrebbe
avere un buon naso nel fiutare dove va l’economia.
È pur
vero che, nonostante un aggiornamento Def tinto di rosa, non si è ancora fatta
la quadra sui conti pubblici. Mancherebbero ancora 5 miliardi per evitare che
il disavanzo del 2018 superi l’1,6% del Pil concordato con l’Ue. Ci sono, però,
ancora un paio di settimane per negoziare tra ministri (e con le parti sociali)
e risolvere il problema contabile.
Più
difficile di questa “discrepanza” sono due aspetti: a) la divergenza tra le
previsioni italiane e quelle dei gruppo del consensus (i venti maggiori
istituti di analisi econometrica e previsionale, tutti privati, nessuno
italiano); b) il problema del debito pubblico.
Il gruppo
del “consenso” non prevede un rafforzamento della ripresa nei prossimi anni, ma
un rallentamento. La media aritmetica delle previsioni 2018 dei venti istituti
parla di un aumento del Pil italiano solo dell’1%, nel contesto di un
rallentamento dell’eurozona e dell’Ue. A sua volta, tale rallentamento sarebbe
causato da determinanti sulle quali né l’Ue né l’eurozona, né, tanto meno
l’Italia, hanno controllo. La frenata verrebbe dall’Asia (che per anni ed anni
è stata il motore dello sviluppo mondiale) per cause sia economiche sia,
soprattutto, geopolitiche. È difficile sapere quanto, nell’aggiornare il
Def, se ne sia tenuto conto.
Il debito è
l’altro aspetto. La strategia del Def è una riduzione graduale grazie
all’aumento del denominatore. Perché funzioni, il Pil dovrebbe aumentare non
del’1,5-1,7% l’anno ma del 6-7% l’anno (inconcepibile in una demografia anziana
ed in un’economia a bassa produttività); anche se ciò avvenisse, ci vorrebbe
più un decennio per raggiungere quel 60% del Pil stipulato nel Trattato di
Maastricht. Lo stesso Segretario del Pd, Matteo Renzi, presentando, a
destra ed a manca, il suo libro, parla di una patrimoniale straordinaria (che
graverebbe principalmente sul patrimonio immobiliare), con toni da “oro alla
Patria!”. Ci sono strade migliori. Mi auguravo che l’aggiornamento Def le
avesse esplorate.
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