Investimenti e regole i nodi della partita
italiana per la banda ultralarga
Uno dei temi centrali della prossima legislatura è il
rilancio della produttività. A sua volta, il miglioramento della produttività
richiede quello della tecnologia. Prendiamo la banda larga: l’Italia è
venticinquesima in classifica a livello europeo, e cinquantacinquesima a
livello mondiale. Se ne parla poco, ma dietro le quinte sono in corso confronti
di punti di vista (e si stanno affilando coltelli in quanto l’argomento implica
forti interessi industriali e finanziari). Le questioni principali sono le
seguenti: a) Il monopolio 'tecnico' di Telecom per la rete, un retaggio storico
per l’Italia e per altri Paesi dovei la compagnia telefonica di Stato non ha
mai ceduto la rete, è ancora compatibile nel contesto europeo e mondiale? b) In
caso di risposta positiva a questa domanda, come affrontare il problema
dell’ultimo miglio ed evitare i frequenti disservizi spesso imputati a
inefficienze della rete Telecom? c) Se si decide di privatizzare, come farlo?
Creando un duopolio ad esempio Telecom-Open Fiber (l’azienda creata da Enel e
dalla Cassa Depositi e Prestiti) oppure tramite un’impresa a cui partecipino
tutti i maggiori operatori del settore? d) Dato l’enorme sforzo finanziario
richiesto, quali incentivi possono essere concepiti nella nostra situazione di
bilancio e nel quadro delle regole europee?
La banda larga o ultra-larga serve a portare la fibra a casa
dell’utente, o almeno all’armadietto di strada accessibile a tutti gli
operatori nelle medesime condizioni, eque, trasparenti e non discriminatorie.
Si confrontano due soluzioni : la prima (Ftth) è quella che sta realizzando
Open Fiber dato che ha vinto le gare bandite da Infratel per gli stanziamenti messi
a disposizione per le aree a fallimento di mercato; la seconda (Fttc) è quella
che sta realizzando Tim, che consente di sfruttare ancora un pezzo della sua
rete in rame. Mentre la prima soluzione (Ftth) è completamente autonoma
nell’accesso all’utente finale rispetto alla rete di Tim, la seconda soluzione
(Fttc) vincola la concorrenza a usarne comunque l’ultimo tratto e richiede
forti investimenti in quel che resterebbe della rete in rame (sulla quale negli
ultimi lustri ci si impegnati meno del necessario, come documentato, ad
esempio, nel libro di Maurizio Matteo Decina nel libro 'Goodbye Telecom?').
A rendere il quadro più complesso ci sono le regole europee
in evoluzione. La Commissione europea ha formulato una proposta legislativa per
sostituire l’ormai vetusto European Regulatory Framework for Electronic
Communications (Rfec) del 2002 con un nuovo European Electronic Communications
Code. Tra gli obiettivi del nuovo 'Codice' come stimolare investimenti sulla
banda veloce e ultraveloce. Molto utile, a riguardo , il lavoro di J. Scott Marcus (Bruegel),
Veronica Bocarova (Cullen International) e Georgios Petropoulos (Bruegel)
'Incentives for investment in fast broadband: How much can be expected from the
proposed European Code?' (Incentivi per investimenti in banda larga:
quanto ci si può aspettare dal Codice europeo in via di preparazione?). Il
nuovo 'Codice' è mirato a sviluppare linee di azione per incrementare gli
investimenti. Potrebbe essere il punto d’avvio per un dibattito rigoroso in
Italia e fare sì che a Bruxelles il Governo apporti un contributo per chiarire
punti ambigui o poco chiari.
Giuseppe Pennisi
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