Perché il piano anti Brexit di Cameron è una vittoria per Londra
L'analisi dell'economista Giuseppe Pennisi
La stampa vicina al Palazzo
(allargato) del 3 febbraio editorializza che in questo match (ce ne saranno
altri nei prossimi mesi), il premier (lui sì che ne ha titolo) David Cameron
ha ottenuto “una vittoria di Pirro” con l’accordo concluso con il presidente
del Consiglio dell’Unione europea Donald Tusk. Prima di esprimere un
parere, è opportuno esaminare con un certo dettaglio le richieste britanniche e
il compromesso raggiunto. Ovviamente, è fin troppo banale rilevare che il
compromesso dovrà essere vagliato, da un lato, dagli altri Stati dell’Ue in
sede di Consiglio europeo e, da un altro, dai colleghi di governo di Cameron,
prima, e successivamente, dagli elettori britannici quando (forse giugno) si
terrà il referendum sulla continuazione o meno della partecipazione britannica
all’Ue.
Il Regno Unito aveva posto quattro
pregiudiziali. Su ciascuna di esse si è giunti ad un accordo a metà strada tra
le posizioni britanniche e quelle della Ue, quali rappresentate da Cameron. Il
primo punto riguarda la sovranità nazionale; Cameron ha ottenuto che i
riferimenti dei Trattati di puntare “ad un’unione più stretta” non obbligano ad
andare verso una meta comune. In aggiunta, i Parlamenti di almeno 16 Paesi su
28 (o il 55% dei deputati del Parlamento europeo) potranno chiedere la
revisione di una proposta legislativa della Commissione europea entro 12
settimane dalla sua presentazione. In secondo luogo, gli Stati che non fanno
parte dell’Eurozona non possono essere gravati da misure concepite
specificamente per l’area dell’euro; ad esempio, il Regno Unito potrà scegliere
se venire o meno a Stati come la Grecia ed ad applicare alcune regole
dell’unione bancaria. La richiesta che il mercato unico dell’Ue sia multi
valutario viene recepita solo parzialmente con l’impegno di migliorare la
regolamentazione e ridurre i costi amministrativi. Sul tema più complesso (la
riduzione od abolizione dei benefit sociali a cittadini Ue residenti nel Regno
Unito), Londra ha avuto la possibilità, ‘in circostanze eccezionali’, di
sospendere i benefit sino a quattro anni.
Londra ha ottenuto troppo o troppo
poco? I costi ed i benefici attinenti a ciascun punto sono ovviamente di
difficile quantizzazione e comportano un forte elemento di giudizio
individuale. Tuttavia, come scritto sulla rivista Formiche, da una
Brexit al margine l’Ue ha più da perdere del Regno Unito. Il compromesso
dimostra che Donald Tusk ne è perfettamente consapevole poiché la nuova
regolazione dei rapporti Uk-Ue, affossa per sempre il sogno federalista,
validissimo quando venne stilato il Manifesto di Ventotene ed ancora quando il
processo d’integrazione europea coinvolgeva un numero limitato di Stati
sostanzialmente omogenei, ma non più concepibile in un’Ue dall’Atlantico
all’Ucraina. In questa UE hanno un ruolo sempre maggiore gli accordi tra Stati.
Prenderne atto – come si fa con il compromesso – significa anche iniziare una
drastica opera di semplificazione della regolamentazione europea tanto più
necessaria perché un’ Europa semplice può rafforzarsi e crescere, senza
imbrigliarsi in normative spesso particolaristiche. A mio avviso, Cameron ha
ottenuto ciò che politicamente più gli premeva: una drastica riduzione del
ruolo della Commissione europea ed un rafforzamento di quello dei Parlamenti
nazionali.
Ripeto: è possibile che il
compromesso non sarà considerato adeguato da quei britannici che, a torto od a
ragione, sono stufi e stanchi degli obblighi Ue o eccessivo dai quei Governi
europei (pochi) che seguono ancora il sogno federalista. Tuttavia, negoziando
con sapienza ed avendo puntato su quattro punti chiari, non su concetti ambigui
come quello di flessibilità, Cameron porta a casa il punto politico essenziale
e un accordo su misure specifiche non molto distanti dalle sue proposte
iniziali.
Mentre ci sembra che il presidente
del Consiglio italiano, Matteo Renzi, dopo due anni di out-out
presentati con molto clamore, sperando forse di intimidire le controparti,
senza avere preparato il terreno (presentando le nostre ragioni con buone
argomentazioni) e senza prospettare compromessi, non solo non ha sino ad ora
portato a casa nulla di tangibile, ma è stato in pratica messo alla porta dal “direttorio
continentale” composto da Francia e Germania, senza aver tentato (a quel che si
sa) di creare un contrappeso Italia-Regno Unito o alleanze con altri Stati
dell’Ue.
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