giovedì 4 febbraio 2016

Perché il piano anti Brexit di Cameron è una vittoria per Londra in Formiche del 4 febbraio



Perché il piano anti Brexit di Cameron è una vittoria per Londra
Perché il piano anti Brexit di Cameron è una vittoria per Londra
L'analisi dell'economista Giuseppe Pennisi
La stampa vicina al Palazzo (allargato) del 3 febbraio editorializza che in questo match (ce ne saranno altri nei prossimi mesi), il premier (lui sì che ne ha titolo) David Cameron ha ottenuto “una vittoria di Pirro” con l’accordo concluso con il presidente del Consiglio dell’Unione europea Donald Tusk. Prima di esprimere un parere, è opportuno esaminare con un certo dettaglio le richieste britanniche e il compromesso raggiunto. Ovviamente, è fin troppo banale rilevare che il compromesso dovrà essere vagliato, da un lato, dagli altri Stati dell’Ue in sede di Consiglio europeo e, da un altro, dai colleghi di governo di Cameron, prima, e successivamente, dagli elettori britannici quando (forse giugno) si terrà il referendum sulla continuazione o meno della partecipazione britannica all’Ue.
Il Regno Unito aveva posto quattro pregiudiziali. Su ciascuna di esse si è giunti ad un accordo a metà strada tra le posizioni britanniche e quelle della Ue, quali rappresentate da Cameron. Il primo punto riguarda la sovranità nazionale; Cameron ha ottenuto che i riferimenti dei Trattati di puntare “ad un’unione più stretta” non obbligano ad andare verso una meta comune. In aggiunta, i Parlamenti di almeno 16 Paesi su 28 (o il 55% dei deputati del Parlamento europeo) potranno chiedere la revisione di una proposta legislativa della Commissione europea entro 12 settimane dalla sua presentazione. In secondo luogo, gli Stati che non fanno parte dell’Eurozona non possono essere gravati da misure concepite specificamente per l’area dell’euro; ad esempio, il Regno Unito potrà scegliere se venire o meno a Stati come la Grecia ed ad applicare alcune regole dell’unione bancaria. La richiesta che il mercato unico dell’Ue sia multi valutario viene recepita solo parzialmente con l’impegno di migliorare la regolamentazione e ridurre i costi amministrativi. Sul tema più complesso (la riduzione od abolizione dei benefit sociali a cittadini Ue residenti nel Regno Unito), Londra ha avuto la possibilità, ‘in circostanze eccezionali’, di sospendere i benefit sino a quattro anni.
Londra ha ottenuto troppo o troppo poco? I costi ed i benefici attinenti a ciascun punto sono ovviamente di difficile quantizzazione e comportano un forte elemento di giudizio individuale. Tuttavia, come scritto sulla rivista Formiche, da una Brexit al margine l’Ue ha più da perdere del Regno Unito. Il compromesso dimostra che Donald Tusk ne è perfettamente consapevole poiché la nuova regolazione dei rapporti Uk-Ue, affossa per sempre il sogno federalista, validissimo quando venne stilato il Manifesto di Ventotene ed ancora quando il processo d’integrazione europea coinvolgeva un numero limitato di Stati sostanzialmente omogenei, ma non più concepibile in un’Ue dall’Atlantico all’Ucraina. In questa UE hanno un ruolo sempre maggiore gli accordi tra Stati. Prenderne atto – come si fa con il compromesso – significa anche iniziare una drastica opera di semplificazione della regolamentazione europea tanto più necessaria perché un’ Europa semplice può rafforzarsi e crescere, senza imbrigliarsi in normative spesso particolaristiche. A mio avviso, Cameron ha ottenuto ciò che politicamente più gli premeva: una drastica riduzione del ruolo della Commissione europea ed un rafforzamento di quello dei Parlamenti nazionali.
Ripeto: è possibile che il compromesso non sarà considerato adeguato da quei britannici che, a torto od a ragione, sono stufi e stanchi degli obblighi Ue o eccessivo dai quei Governi europei (pochi) che seguono ancora il sogno federalista. Tuttavia, negoziando con sapienza ed avendo puntato su quattro punti chiari, non su concetti ambigui come quello di flessibilità, Cameron porta a casa il punto politico essenziale e un accordo su misure specifiche non molto distanti dalle sue proposte iniziali.
Mentre ci sembra che il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, dopo due anni di out-out presentati con molto clamore, sperando forse di intimidire le controparti, senza avere preparato il terreno (presentando le nostre ragioni con buone argomentazioni) e senza prospettare compromessi, non solo non ha sino ad ora portato a casa nulla di tangibile, ma è stato in pratica messo alla porta dal “direttorio continentale” composto da Francia e Germania, senza aver tentato (a quel che si sa) di creare un contrappeso Italia-Regno Unito o alleanze con altri Stati dell’Ue.

Priti Patel
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Penny Mordaunt
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