OPERA/
Händel alla Scala, un'alba trascendentale
Pubblicazione:
martedì 9 febbraio 2016
Lo spettacolo
alla Scala
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NEWS Musica
“La
bellezza ravveduta nel trionfo del tempo e del disinganno” di Georg
F. Händel, per la prima volta alla Scala, è un evento di grande rilievo.
Il lavoro non è stato concepito per una realizzazione scenica ma per una
rappresentazione in forma di concerto.
Venne
commissionato al giovane Händel (aveva 22 anni e nella Roma barocca del primo
Settecento era il beniamino di principi, cardinali e nobildonne) dal Card.
Benedetto Pamphilj , raffinato esteta, in quanto ‘oratorio spirituale’
sul tema della fugacità della bellezza fisica e della giovinezza con solo
quattro personaggi, tutti a carattere allegorico (la Bellezza, il Piacere, il
Tempo e il Disinganno) e un organico di 18 orchestrali (compreso maestro
concertatore al cembalo).
Venne
eseguito a Palazzo Pamphilj nel maggio 1707 (secondo alcuni a Palazzo
Clementino, ma è dettaglio irrilevante) – non si sa se in forma di concerto o
in forma semi-scenica- probabilmente in una serata musicale in cui venne
servito anche un banchetto. Modificato, ampliato (con un piccolo coro) e in
versione ritmica in inglese venne ripreso al Covent Garden nel 1737 e nel 1757.
Händel, quindi, vi lavorò per tutta la vita, consapevole della ricchezza
e dell’innovazione di questo suo lavoro giovanile; nel corso degli anni, molti
numeri musicali vennero “presi in prestito” e incastronati in altre opere
(quali la stupenda aria Lascia la spina/cogli la rosa che in Rinaldo diventerà
Lascia che io pianga).
La
ripresa in forma scenica in tempi moderni si deve ad un fortunato allestimento
di Jürgen Flimm (con direzione musicale di Marl Minkowski) in repertorio a
Zurigo dal 2003; l’oratorio diventava un dramma di interazione tra due
coppie nel 1990 o giù di lì con un finale, però, fortemente etico e religioso.
Da allora, varie versioni si vedono in teatri tedeschi e in Francia. In Italia è
stato presentato in forma scenica alla 58sima Sagra Malatestiana. E’ stato
annunciato un paio di volte a La Fenice, nella produzione di Stoccarda, ma
l’idea non si è mai materializzata.
Si
attribuisce a Cecilia Bartoli l’idea della messa in scena a Zurigo, dove si
cercavano produzioni a basso costo. In effetti il teatro dell’opera di Zurigo è
di piccole dimensioni (circa ottocento posti) e si presta ad un lavoro con
quattro interpreti che discutono se è meglio essere o apparire per circa
due ore e mezzo. A Rimini la regia di Denis Krief (alle prese con uno spazio
scenico non convenzionale – un salone in disfacimento di un antico convento
bombardato durante la Seconda Mondiale) spingeva ancora di più
l’attualizzazione della situazione scenica.
Eravamo
in un appartamento di lusso ai Parioli a Roma o a Via Montenapoleone a Milano.
Due coppie cenavano insieme, servite da un discretissimo cameriere. Le signore
vestivano primizie delle collezioni inverno 2007-2008 delle migliori case di
moda. Il menu era elegante: pinzimonio alle acciughe, astice con quenelles di
fagioli, gazpacho con branzino, paccheri ai fiori di zucca , nella prima parte
della cena; una breve pausa in terrazza e poi sorbetto al pompelmo, tournedos
al foie gras, mousse al cioccolato I vini all’altezza dei cibi. La
conversazione è intensa; tratta di problemi “alti”. I quattro commensali, però,
conversano non parlando ma cantando in versi petrarcheschi ed accompagnati da
una piccola orchestra. Quindi, “desinar cantando”, innovazione in un percorso,
iniziato nel Cinquecento, con il tentativo rinascimentale di riesumare il
teatro greco tramite il “recitar cantando”.
Le
due coppie trattavano di filosofia, di politica e di religione. Era in corso,
però, un dramma che accende tensione nella cena. Una delle due coppie è
eterosessuale e benpensante; l’altra è legata da un legame saffico (molto
forte e molto erotico in una delle due donne, più debole nell’altra, più
giovane ed incerta). L’azione scenica funzionava bene ed appassiona il pubblico
per le tre ore circa dello spettacolo.
Nel portare il lavoro da Zurigo a Milano ed a Berlino (Staatsoper
unter den Linder provvisoriamente alloggiata al Teatro Schiller), Jürgen Flimm,
con l’apporto di Gudrum Hartmann ha ripensato la regia per un ambiente molto più
grande di quello della capitale finanziaria svizzera. Flimm, Hartmann e lo
scenografo Erich Wondercollocano il passaggio dall’edonismo alla
malinconia che impregna l’oratorio in una serata dopo
teatro o dopo cena che affonda nella notte al bancone di un caffè alto borghese
ispirato alla leggendaria brasserie parigina art déco La Coupole a Montparnasse
, inaugurata nel 1927, in cui si incontravano tra gli altri Man Ray, Aragon,
Picasso, Simenon e Josephine Baker. Il bar diviene teatro moderno di simbologie
di perfetto sapore barocco, tra controscene e movimenti coreografici. Nei
tavoli si mangia e si beve ed i protagonisti sono impegnati a farsi versare
vini e liquori, mentre musica e canto sono contrappuntati da una coreografia
ipnotica.
L’azione scenica diventa un vero e proprio dramma denso e serrato;
il ‘ desinar cantando‘ si trascina sino all’alba, dopo che gli altri avventori
hanno lasciato il ristorante ed i camerieri stanno facendo le pulizie.
‘Disinganno’(Sara Mingardo) con l’aiuto di ‘Tempo’ (Leonardo Cortellazzi)
convince ‘Bellezza’ (Martina Jancová) non solo a lasciare ‘Piacere’ (Lucia
Cirillo) con cui ha una relazione anche erotica ma anche, in un’alba
trascendentale, ad andare in convento sia per espiare i rapporti lussuriosi con
‘Piacere’ sia per conoscere la vera beltà. Probabilmente quella de Il
Trionfo del Tempo e del Disinganno (come viene comunemente chiamato
il lavoro) è la migliore regia di Jürgen Flimm tra le numerose da me viste. E’
anche il migliore spettacolo alla Scala in mesi.
Eccellente la parte musicale. La Scala si è affidata ad un
barocchista come Diego Fasolis ed i 18 strumentisti suonavano o con strumenti
d’epoca oppure il più simile possibile a quelli del settecento, rendendo così
pur nella grande Sala del Piermarini le tinte ed i colori appropriati ad un
oratorio trasformato in intensa azione drammatica, ma pur sempre con una forte
caratterizzazione religiosa.
Ottimi i quattro protagonisti , anche loro frequenti
interpreti della musica barocca. Ciascuna delle tre protagoniste femminili con
un timbro leggermente differente, da quello sensuale di Martina Jancová a
quello brunito di Lucia Cirillo e di Sara Mingardo. Leonardo Cortellazzi ha
confermato un registro ampio ed un fraseggio si classe.
Spettacolo da non perdere.
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