FINANZA E POLITICA/ Il "poker" fallimentare di Renzi
Pubblicazione: lunedì 8 febbraio 2016
Matteo Renzi (Infophoto)
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NEWS Economia e Finanza
Per comprendere il dibattito in
corso tra il Presidente del Consiglio Matteo Renzi e (gran parte delle)
istituzioni europee occorre conoscere gli elementi di base di "teoria dei
giochi multipli", una disciplina sviluppatesi in gran misura negli anni
Settanta e portata in Italia (specialmente nelle sue applicazioni alla politica
internazionale) dall'attuale ministro dell'Economia e delle Finanze Prof. Pier
Carlo Padoan e dal Senatore del Pd Prof. Paolo Guerrieri. Con ciò non intendo
dire che Padoan e Guerrieri abbiamo formato Renzi nella "teoria dei giochi
multipli" e siano suoi consiglieri nell'applicazione specifica che il
Presidente del Consiglio sta attuando. Molto più probabilmente sono gli
"animal spirits" del capitalismo a portare Renzi sul percorso della
"teoria dei giochi multipli'"con il proposito di "cogliere due
piccioni con una fava", come si direbbe sulle rive dell'Arno.
Andiamo con ordine. La "teoria
dei giochi plurimi" ipotizza che il giocatore operi, simultaneamente, su
due tavoli con due differenti obiettivi da massimizzare. Un'ipotesi che va a
pennello a Renzi. Su un tavolo, quello italiano, intende, legittimamente,
massimizzare "la popolarità" e prendere voti a destra e a manca per
creare quel Partito della Nazione che potrebbe essere la premessa di un sistema
a partito unico, o dominante, come è avvenuto in decenni in Giappone con il
Partito Liberal Democratico o in Messico con il Partito Rivoluzionario
Istituzionale. Sull'altro, quello europeo, intende, anche qui massimamente,
massimizzare "la reputazione" propria e dell'Italia, restando nel
quadro delle regole, ma ottenendone il massimo e crescendo così di ruolo e di
peso (sia lui che l'Italia).
Ciò consente di interpretare il
vasto numero di controversie in corso con le istituzioni europee (flessibilità,
migranti, banche, Ilva e via discorrendo). Queste controversie fanno sì che sul
tavolo (interno) della "popolarità" appaia come l'uomo in grado di
rappresentare con vigore il Paese e le sue istanze, ottenendo consensi dai
"populisti" di destra e di sinistra; le critiche, a volte invettive,
contro "le perversioni" della burocrazia europea hanno un riscontro
positivo immediato in milioni di italiani, che quotidianamente si sentono
stritolata dalla polverosa burocrazia nostrana. Tuttavia, di solito, il popolo
elettore opta per chi vince. Non per chi non solo perde, ma viene preso a
bastonate. Quindi, i guadagni in termini di "popolarità" devono
essere simultanei e commensurati con quelli di "reputazione".
L'equilibrio, ci ha insegnato John Nash (quello di A Beatiful Mind), è
quasi sempre instabile.
Sul tavolo che possiamo chiamare,
per semplicità, "della reputazione", le cose vanno meno bene di quel
che possa sembrare. Fare la voce grossa non è sempre il modo migliore per
ottenere quel che si vuole in un consesso di 28 Stati (di vario peso, rango e
orientamento). Anzi Giuseppe Verdi ci ricorda (La Forza del Destino,
Atto IV, quadro II) che le minacce e i fieri accenti / portan seco in preda
i venti. Ossia che battere i pugni sul tavolo non è sempre la maniera più
efficace per massimizzare la "reputazione".
In breve, Renzi ha tentato di
entrare in un "direttorio con Germania e Francia", ma - come
visto su
queste pagine - ha
ottenuto solamente la promessa che "zia Merkel" gli facesse una
telefonata prima dei Consigli europei; ancora peggio il ministro dell'Economia
e delle finanze francese, Michel Sapin, suo "compagno di partito", il
quale il 4 febbraio ha smontato l'ipotesi italiana di non contabilizzare alcune
spese ai fini del computo dell'indebitamento netto delle pubbliche
amministrazioni e dello stock di debito pubblico.
Renzi ha anche tentato di evitare
il bail-in per alcune banche in serie difficoltà; gli è stato
ricordato che il regolamento era stato negoziato con i rappresentanti
dell'Italia, approvato dal Parlamento europeo e ratificato da quello italiano.
Ha provato a far approvare dalle istituzioni europee la costituzione di una bad
bank e gli è stato detto che la richiesta era tardiva perché
contraria al regolamento (appena citato) da noi negoziato e approvato. Si è
giunti a una soluzione di compromesso che ha comportato un deprezzamento dal
60% al 30% del valore dei crediti deteriorati rispetto a quello nominale come
documentato da Mediobanca Securities e da un'analisi pubblicata dal
quotidiano Avvenire. Infine, come anticipato da questa testata il
25 gennaio, Il Corriere della Sera del 5 febbraio ha
confermato che il ministero delle Finanze tedesco (nel cui salotto buono
avremmo voluto entrare per co-decidere con la Repubblica Federale) ha appena
varato un documento di 52 pagine il cui succo è che non ci devono essere più
reti di sicurezza per i titoli di Stato. Se il principio venisse adottato,
l'Italia sarebbe il Paese dell'Ue più colpito, a ragione del nostro elevatissimo
debito pubblico.
Senza fare la voce grossa, ma con
abilità, proprio in questi giorni, David Cameron ha ottenuto molto nel
negoziare un "compromesso" sui quattro punti considerati dal suo
Governo "irrinunciabili" per la permanenza della Gran Bretagna nell'Ue.
C'è chi sa giocare a poker e chi a
tre sette. C'è chi è socio di club esclusivi come il Cosmos e chi di una
bocciofila.
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