FINANZA E POLITICA/ La "riserva" dimenticata dall'Europa
Pubblicazione: lunedì 18 gennaio 2016
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Vi ricordate di Latin Lovers (“Amanti
Latini”) film di culto di Mervyn Le Roy del lontano 1953, imperniato su Lana
Turner nel suolo di insoddisfatta americana alla ricerca di un vero amore in
Brasile? Ebbe tanto successo che ne sono state fatte una parodia nel 1966 e un
remake di sorta nel 2015. Il technicolor smagliante della prima versione (in cui
Ricardo Moltaban cantava un pezzo diventato anch’esso di culto) mi è tornato
alla mente il 16 gennaio nella sala delle conferenze internazionali della
Farnesina dove l’Istituto Affari Internazionali ha organizzato una giornata di
studio sul tema delle relazioni tra Unione europea e l’America Latina e i
Caraibi (normalmente siglati Lac). Nutrita la rappresentanza di ambasciatori e
diplomatici sia degli Stati Lac che dell’Ue.
È tema importante anche se da anni
l’attenzione dell’Ue si è spostata, in una prima fase, verso l’area “emergente”
dell’Estremo Oriente (che prometteva esportazioni e investimenti) e,
successivamente, verso quella del Medio Oriente e del Nord Africa (in fiamme e
da dove provengono migranti e reti terroristiche). L’area Lac è parsa dimenticata,
anche nei negoziati per la Trans- Atlantic Partnership.
Non è stato sempre così: da oltre
mezzo secolo ha sede a Roma l’Iila, Istituto Italo-Latino Americano, piccola ma
dinamica organizzazione internazionale creata proprio per rafforzare la
relazioni tra l’Italia (e il resto dell’Ue) e l’America Latina. Un tempo l’area
aveva un’importanza importante nella cooperazione allo sviluppo dell’Italia e
anche dell’Ue. Sino a pochi anni fa, si pensava che l’America Latina sarebbe
stata uno dei motori dell’economia internazionale. In un film olandese del 2009
(The World Next Supermodel di Ijsbrand van Veelen) si ipotizzava,
addirittura, che il Brasile avrebbe rimpiazzato gli Stati Uniti come
“supermodello” dell’economia mondiale.
Oggi il quadro è molto differente.
Uno studio di José Labrengo Cabrera dell’European Institute for Security
Studies (Euiss) definisce l’area Lac come quella delle “insecure economies”
(“economie insicure”). Il crollo del prezzo del petrolio ha dato un duro colpo
al Venezuela e al Messico. Le vicende dell’Estremo Oriente hanno causato un
colpo d’arresto degli investimenti in Brasile e in Argentina. La corruzione e
l’instabilità politica piagano il continente. È tornata, alla grande, la
stagflazione: in Argentina il Pil cresce a un tasso dell’1% l’anno, ma i tassi
d’interesse sfiorano il 40% l’anno.
Ci sono zone dove il quadro non è
così plumbeo. Il Cile, il Perù e gli Stati dei Caraibi, importatori netti di
petrolio, sono stati in parte in grado di “assorbire gli shock dell’economia
globale”. In Colombia, poi, le prospettive sembrano in via di miglioramento a
ragione delle recenti maggiori probabilità di un accordo con le “forze armate
rivoluzionarie”. A mio avviso, e sulla base dei miei vecchi ricordi dell’area
Lac dove lavorai quando ero in Banca Mondiale, la conferenza internazionale è
stata un’utile occasione anche per evitare che l’America Latina finisca nel
dimenticatoio.
uttavia, non è più tempo di “amanti
latini”, gli spazi sono molto ristretti sia perché le possibilità finanziarie
dei singoli Stati dell’Ue e della stessa Unione sono limitati, sia perché le
priorità sono altrove, sia soprattutto perché molti Paesi dell’area non hanno
risolto (con un adeguato aggiustamento strutturale) quello che, in un bel
libro, David Knox, a lungo Vice Presidente della Banca mondiale per l’area, ha
individuato come nodo di fondo: Paesi altamente industrializzati, ma con
un’industria così poco produttiva e competitiva di non essere in grado di
esportare manufatti.
In questo campo si possono trovare spazi
per cooperazione e aiuti effettivi a paesi che intendono davvero mettere le
proprie economie, e società, su un nuovo binario.
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