giovedì 10 maggio 2012

PERCHÉ LA CRISI NON PASSA in Il Velino 10 maggio

PERCHÉ LA CRISI NON PASSA Edizione completa Stampa l'articolo Roma - L’8 maggio è stato presentato da un panel di eccezione (Victor Massiah, Salvatore Carruba, Mario Deaglio, Daniel Gros, Yes Meny e Stefano Silvestri) e di fronte a un parterre de rois il Sedicesimo Rapporto sull’economia globale e l’Italia del Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi. Quest’anno il documento è stato intitolato “La Crisi che non Passa”. Titolo quanto mai appropriato ma il dibattito non ha toccato uno dei punti essenziali; quello sottolineato circa un mese fa, in un editoriale del “Velino” del 7 aprile scorso. Sulla base degli studi di Richard C. Koo, capo economista del Nomura Research Institute, in particolare del suo libro The Holy Grail of Macro-Economics: Lesson from Japan’s Great Recession, il nippo-americano Koo sostiene che questa recessione è differente dalle altre, perché al pari di quella Usa del 1929 e di quella che travaglia il Giappone da circa 20 anni, il forte indebitamento (che l’ha preceduta) ha provocato un drastico mutamento degli obiettivi di investimento tanto degli individui e delle famiglie quanto delle imprese: dalla “massimizzazione del profitto” si è passati alla “minimizzazione dell’indebitamento” con la conseguenza di un forte aumento dell’avversione al rischio. All’indomani delle elezioni in Francia e in Grecia (e della tornata, pur se parziale, in Italia), è stato convocato per il 23 maggio un vertice straordinario dei capi di Stato e di governo dell’Unione Europea in modo da individuare modi e maniere per rilanciare la crescita. Ottima intenzione ma di difficilissima attuazione. “Un’agenda sviluppista orientata principalmente a contenere i programmi di austerità di finanza pubblica - afferma, senza avere letto il lavoro di Koo, Josè Winne, direttore della strategia valutaria per il Nord America della sede della Barclay’s a New York - poiché i mercati mettono in questione la solvibilità tanto degli Stati quanto degli intermediari finanziari”. Le intenzioni del nuovo capo di Stato francese non convincono perché “la Francia ha un margine di manovra molto stretto ed in effetti si deve impegnare a consolidare il proprio bilancio e la propria finanza pubblica, aggiunge Nicolas Véron del centro di ricerche Bruegel aggiungendo che numerosi risparmiatori vorrebbero tornare a titoli francesi ad alto tasso di interesse (rispetto al resto d’Europa) - come è avvenuto in Italia e Spagna con l’aumento dello spread. Dennis Snower , l’economista di Oxford e Princeton che guida l’Institute for World Economics a Kiel, in Germania, aggiunge: “Le politiche keynesiane e neo-keynesiane non funzionano in una recessione di questo tipo”. In effetti, il nodo di fondo è politico: in Germania i tassi d’interesse sono bassi e il tasso di crescita è sull’1,5-2 per cento a ragione delle riforme di struttura effettuate nel passato, del risanamento della finanza pubblica e della costituzionalizazione dei vincoli di bilancio, nonché di un sistema politico che evita gli estremi. Mentre in Francia, Grecia e Italia un terzo circa dell’elettorato non vota contro o a favore di questo o quello schieramento ma si esprime contro il sistema. Se non si trova il modo di rimettere la politica su “un binario normale” con regole e istituzioni accettate da tutti i cittadini, sarà difficile riportare in un alveo anch’esso “normale” l’avversione al rischio e trovare il cammino della crescita. (ilVelino/AGV) (Giuseppe Pennisi) 10 Maggio 2012 12:56

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