martedì 29 maggio 2012
I DUE VOLTI DEGLI EUROBONDS in Il Velino 29 maggio
I DUE VOLTI DEGLI EUROBONDS
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Roma - Perché tornare a parlare di eurobonds? Sembrano un tormentone costante di questa rubrica anche perché abbiamo cercato di fare supplenza alla più paludata stampa economica, che ne confonde le varie proposte e prende fischi per fiaschi - si veda la prima pagina de Il Sole 24 Ore del 27 maggio – disorientando i lettori tra una modesta infusione di project bonds (che hanno oltre 300 anni di vita) e obbligazioni per mettere in comune responsabilità e rischi di emissioni sovrane per rifinanziare debiti pure essi sovrani. Torniamo sul tema perché in queste settimane gli eurobonds per “socializzare” il debito europeo sono al centro di un negoziato nell’ambito dell’eurozona in vista del vertice dei capi di Stato e di governo dell’Unione Europea (Ue) in programma a fine giugno. I loro “supplenti” hanno avuto mandato di studiarli nella speranza che portino qualcosa a casa. Li invocano non solo i PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Portogallo, Spagna) ma anche il neo eletto presidente dei francesi François Hollande che ne ha fatto uno dei punti centrale della campagna per l’Assemblea legislative (i cui due turni elettorali si terranno il 3 ed il 17 giugno). Dovrebbero essere un toccasana per dare nuova vita all’eurozona.
In effetti, senza entrare in dettagli tecnici, gli eurobonds sono un po’ come un mantello double face, di quelli che un tempo andavano di gran moda. Da un lato, sembrano come il grimaldello per fare avanzare l’integrazione europea (portandola anche ad alti livelli politici) con una nobile espressione di solidarietà non una mera stampella tecnica all’euro. Da un altro vengono visti come un prestito a un cognato moribondo (e che non si è mai amato) con l’obiettivo che la propria sorella (moglie del morente) abbia i mezzi per pagare i funerali e una bella tomba.
Ha nettamente ragione Giuliano Amato nel ricordare che una parte importante della classe dirigente degli Stati del Nord Europa ha sempre pensato che i PIIGS non fossero in grado di rispettare gli impegni presi con l’ingresso (da loro richiesto) nell’euro. Amato dimentica, però, che la Francia, pur non appartenendo (per il momento) alla stirpe dei PIIGS, ha proposto l’unione monetaria non solamente perché temeva un apprezzamento del marco (negli anni post-unificazione tedesca) a cui non avrebbe potuto far fronte (come previsto dagli accordi del Louvre del 1987) ma anche e soprattutto perché sapeva che l’eventuale fine del mercato unico avrebbe comportato la dissoluzione di quella politica agricola comune di cui è la maggiore beneficiaria. Da fine giurista, infine, dovrebbe conoscere il principio “no taxation without representation”. Al pari degli accordi di riassetto strutturale promossi per decenni da Fondo Monetario e da Banca Mondiale, ove venissero creati eurobonds, gli Stati “forti” avrebbero tutto il diritto di mettere bocca nella politiche non solo di bilancio di quelli “deboli”. I PIIGS non dovrebbero risentirsene e gridare all’“onta del commissariamento” perché, grazie all’euro garantito dai “forti”, hanno avuto un decennio circa di bassi tassi d’interesse durante il quale avrebbero potuto, e dovuto, effettuare le riforme per migliorare il loro nodo centrale: la bassa produttività.
L’aumento della produttività non è un dono del Cielo ma il risultato di politiche e di comportamenti (degli individui, delle famiglie, delle imprese, della pubblica amministrazione, del ceto politico). Difficile dire se il prossimo Consiglio Europeo partorirà qualche forma di eurobonds. Se lo fa, sarà necessariamente accompagnata da qualche forma di cessione di sovranità (dai PIIGS agli altri).
Non lamentiamocene (ilVelino/AGV)
(Giuseppe Pennisi) 29 Maggio 2012 17:29
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