lunedì 14 maggio 2012
Debito record in Avvenire 15 maggio
Debito record
Sfiora i 1.950 miliardi Sale il peso dei derivati
Spesa sanitaria e tassi: l’esplosione in 15 anni
DI GIUSEPPE PENNISI
Il rapporto tra stock di debito pubblico e produzione di beni e servizi é il nodo centrale della nostra politica economica. Non soltanto da qualche lustro. Ma da sempre o quasi. In 150 di unità nazionale, per 111 anni abbiamo superato quel vincolo del 60% nel rapporto debito-Pil scritto a tutto tondo nel Trattato di Maastricht e ribadito nel Fiscal Compact. Non solo, ma in 56 dei 150 anni, il rapporto tra debito pubblico e Pil non è stato inferiore a quel 100% che, quando venne toccato alla fine degli Anni Ottanta, fu da alcuni economisti giudicato come l’annuncio che non si sarebbe più potuto fare pa¬te degli accordi europei sui cambi.
Paradossalmente, la nascita dello Stato nazionale è stata, almeno in parte, dovuta al forte debito. Non nostro, ma dei Re di Francia i quali – all’epoca non esistevano Cds e altre diavolerie di finanza creativa – cedettero la corona di Sardegna e il territorio del Piemonte alla Casa Savoia, con cui erano indebitati sino al collo. Ci sono state determinanti quasi fisiologiche che hanno accompagnato, con un forte indebitamento, il processo di unificazione nazionale, prima, il graduale accesso al consesso di 'grande potenza' poi e, infine, i tentativi di giungere ad una maggiore e migliore coesione territoria¬le. Le guerre costano. I divari di reddito e ricchezza all’interno dell’Italia (non soltanto il dislivello tra il Mezzogiorno e resto della Nazione) hanno comportato nei 150 anni d’unità nazionale forti spese pubbliche, quasi sempre finanziate facendo ricorso all’indebitamento. Siamo spesso stati in buona compagnia, per così dire. In vari modi, però, gli altri Paesi sono riusciti a rientrare dall’alto debito facendo ricorso ad una miscela di politica economica che utilizzava sia l’inflazione, sia l’alta crescita, sia il prelievo tributario.
L’Italia, invece, ha quasi sempre dovuto combattere con un’alta piaga di debito pubblico, trovando soltanto in rare fasi della sua storia il modo di sanarla. Nel secondo dopo guerra, in seguito ad una cura energica (alta inflazione, riforma monetaria) pilotata principalmente da Luigi Einaudi, si sperò che avessimo domato la bestia: dal 1946-47 (quando il debito pubblico venne portato ad appena il 24% del Pil) alla fine degli Anni Sessanta, il rapporto debito pubblico-Pil è stato relativamente contenuto e la crescita dell’economia reale sostenuta grazie, principalmente, alla dotazione di capitale umano di cui si disponeva (e che era stato, per così dire, 'represso', e non messo ad uso produttivo negli anni dalla 'guerra d’Afri¬a' alla fine del secondo conflitto mondiale). Successiva-mente il rapporto debito-Pil ha ripreso a crescere: prima lentamente e poi accelerando sempre di più. All’inizio degli Anni Settanta, a fronte di forti sconvolgimenti dell’economia internazionale (fine del sistema monetario a tassi di cambio fissi, crisi petrolifera), nell’arco di due anni il rapporto tra debito e Pil aumentò di dieci punti percentuali e il disavanzo di cinque, mentre il gettito fiscale restò sostanzialmente invariato; erano gli anni in cui la struttura di governo ve¬niva profondamente cambiata con la nascita delle Regioni a statuto ordinario (e l’aumento, quindi, dei costi della politica).
Nel 1975, il disavanzo di bilancio superò il 10% del Pil. Non ci se ne preoccupò per tre ragioni: si era alle prese con tensioni internazionali (che causarono la svalutazione della lira), iniziava un’inquietante fase d’inflazione sostenuta e la riforma tributaria del 1973 cominciava a dare frutti. Ma soprattutto, perché sino al 1982 il rapporto debito:-Pil restava al livello di guardia del 60% (che si pensava si potesse facilmente gestire). Pro¬rio allora, però, iniziarono ad operare altre determinan¬ti: sul piano interno, gli effetti di leggi approvate durante il periodo della 'solidarietà nazionale', specialmente la riforma sanitaria che nel primo lustro di applicazione finanziava a piè di lista e con controlli minimali; sul piano internazionale il forte aumento dei tassi d’interesse conseguente in gran misura la politica anti-inflazionistica interna degli Stati Uniti. Dal 1981 alla crisi valutaria del 1992, il saldo totale di bilancio ha quasi ogni anno superato il 10% del Pil – oltre la metà a ragione della spesa per il servizio di un debito sempre crescente (che sarebbe giunto al 122% del Pil nel 1994). Le Regioni e la spea sanitaria non sono all’origine della malattia italiana dell’inclinazione al debito pubblico, è vero, l’hanno però aggravata in una fase interna e internazionale delicatissime.
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la storia
In 150 di unità nazionale, per 111 anni abbiamo superato il del 60% nel rapporto debito-Pil
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