martedì 11 ottobre 2011

VERDI IL FESTIVAL E’ POVERO MA AGUZZA L’INGEGNO Il Riformista del 12 ottobre

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VERDI IL FESTIVAL E’ POVERO MA AGUZZA L’INGEGNO
Beckmesser

Vi ricordate “Fiddler on the Roof” , la commedia musicale che è stata uno dei maggiori successi a Broadway a New York e nel West End di Londra? In momento topico, il protagonista Tevye, bracciante ebreo nella Russia zarista, rammenta alle cinque figlie, bisognose di dote per convolare a nozze, che “non bisogna vergognarsi di essere poveri, ma non è neanche detto che se ne debba essere orgogliosi”. E’ probabilmente il messaggio che Mauro Meli, Sovrintendente del Regio di Parma, ha lanciato a colleghi e collaboratori nell’approntare l’edizione 2011 del Festival Verdi. Il contesto è noto: i finanziamenti ministeriali pare abbiano ritardi biblici, alcuni sponsor s si sono tirati indietro a ragione della crisi economica, l’amministrazione comunale è nel caos. Si presenta con due nuovi allestimenti (“Un Ballo in Maschera” e “Falstaff”), un’opera in forma di concerto con cantanti giovani a Bussetto (“Il Trovatore”), il “Requiem” diretto da Juriy Temirkanov ed una ricca serie di appuntamenti (da “Impara l’Opera” per i giovani, a concerti).
“Un Ballo” è molto differente da quello visto alcuni mesi fa a Macerata.Regia, scene , costumi e luci sono affidati a Massimo Gasparon, il quale, come Tevye, sa che la povertà aguzza l’ingegno. Ha ritrovato, nei magazzini del “Regio” di Parma, i reperti di un allestimento curato un quarto di secolo fa da Pierluigi Samaritani; ha rimesso a nuovo quel che poteva e lo ha integrato con nuovi elementi. Uno spettacolo visivamente molto bello con scene dipinte, non costruite, che ricordano la Vanvitelliana Regia di Caserta o Versailles. Essenziali, ma eleganti, le danze curate da Roberto Maria Pizzuto.
Gianluigi Gelmetti affronta con equilibrio accurato in questa opera anfibia, legata da un lato a convenzioni del passato (quali l’impiego di un soprano di coloratura “en travesti”) e slanciata da un altro verso l’innovazione di costruzione musicale per scene intere non per numeri. Lo assecondano voci di spessore. Francesco Meli,da tenore lirico mozartiano a tenore “spinto” verdiano; c’è chi parla di “nuovo Pavarotti”.Vladimir Stoyanov è un baritono verdiano di razza: il suo “Eri Tu!” è d’antologia. Kristin Lewis ha ormai una dizione italiana perfetta , è un soprano drammatico di qualità. Serena Gamberoni ha affrontato con disinvolta bravura le colorature richieste al personaggio di Oscar. Elisabetta Fiorillo è una rodatissima Ulrica.Bravi tutti gli altri. Uno spettacolo d’antan, ma platea, palchi e loggione esultano.
“Falstaff” viene rappresentato nel “Teatro Farnese”(una sala con scalinate costruita nel sedicesimo secolo per una festa di nozze). Con pochi elementi scenici di Jaime Vartan , Stephen Medcalf costruisce una vera farsa elisabettiana, rinunciando ai toni melanconici che l’ottantenne Giuseppe Verdi mise in quella che una riflessione sulla sua vita. Ottimo il cast, in cui spiccano Ambrogio Maestri, Luca Salsi e tutto il gruppo femminile guidato Svetla Vassilleva. Difficile giudicare la concertazione del venticinquenne Andrea Battistoni; in platea gli impasti lasciavano a desiderare, ma dalle file alte dell’anfiteatro il suono era nettamente migliore. Si tratta della più difficile partitura di Verdi, senza un cenno tardo-romantico, e rivolta verso l’avvenire. Lo spettacolo andrà al Festival Internazionale di Hong Kong e forse anche a Shangai e Pechino.

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