lunedì 10 ottobre 2011

“UN BALLO” AL FESTIVAL VERDI A PARMA Il Velino 10 ottobre

il Velino/AGV presenta, in esclusiva per gli abbonati, le notizie via via che vengono inserite.
“UN BALLO” AL FESTIVAL VERDI A PARMA

Edizione completa
Stampa l'articolo
Roma - Il Festival Verdi 2011 è in corso sino alla fine del mese di ottobre. È quasi un miracolo date le serie difficoltà finanziarie in cui si muove l’organizzazione che, secondo le voci che corrono nella città di Maria Luigia, non è ancora riuscita a saldare le scritture degli artisti per “I Vespri siciliani” dell’edizione 2010 e della breve stagione lirica della scorsa primavera. I finanziamenti ministeriali pare abbiano ritardi biblici, alcuni sponsor si sono dovuti tirare indietro a ragione della crisi economica, l’amministrazione comunale – basta leggere le cronache giudiziarie - è nel caos. A dispetto di tutto questo, il Festival si presenta con due nuovi allestimenti (“Un Ballo in Maschera” e “Falstaff”), un allestimento in forma di concerto con cantanti giovani a Bussetto (“Il Trovatore”), il “Requiem” diretto da Terminakov ed una ricca serie di appuntamenti (da “Impara l’Opera” per i giovani, a concerti). “Un Ballo in Maschera”, opera inaugurale, si potrà gustare, tra Parma e Modena, sino al 30 ottobre. Sarà quindi fruibile sul canale “Classica” di Sky, mentre la prossima stagione sarà probabilmente ripresa da vari teatri. “Un Ballo in Maschera” è quasi una rarità, visto che a Roma e a Milano manca da dieci anni. L’estate scorsa a Macerata è stata presentata un’edizione interessante sul piano drammaturgico ma deludente su quello musicale.


È necessaria, a questo punto, una breve chiosa. Tra il 1828 (“Le comte Ory” di Giaocchino Rossini) e il 1893 (“Manon Lescaut” di Giacomo Puccini) per l’opera italiana c’è una lunga notte senza eros (presentissimo, invece, proprio in quei decenni nel teatro lirico tedesco e francese, nonché in alcuni lavori di quello nazionale russo). Una lunga notte interrotta, nel 1859, da “Un Ballo in Maschera” di Giuseppe Verdi, messo in scena - dopo complicate difficoltà con censure di vari Stati e statarelli di cui allora si componeva la Penisola -, nella Roma del dominio temporale pontificio. Le censure – lo sappiamo – non se la prendevano con il lungo duetto del secondo atto, una vera e propria rivoluzione se non erotica quanto meno carnale (grande novità nell’asessuato, eppur sentimentalissimo, melodramma del romanticismo), ma con il regicidio su cui era imperniato “Gustave III ou le Bal Masqué” di Eugenio Scribe da cui il buon Antonio Somma aveva tratto il libretto per Verdi. Sappiamo come andò: dopo aver trasportato la vicenda dalla Svezia, dove il “fattaccio” (assassinio di un re durante una festa in costume) avvenne, in una fantomatica Pomerania, i censori papali (ben oliati dall’editore Ricordi) richiesero che la vicenda venisse portata nella lontana America, a Boston, ed il “morto ammazzato” fosse semplicemente un conte, governatore del Massachusetts. Il trasporto carnale nell’“orrido campo” del secondo atto rimase tale e quale; così la musica che gradualmente lo prepara (dallo strumento leit-motiv per clarinetti dell’introduzione) e che lo segue (al duettino “T’amo, sì t’amo e in lacrime” della scena finale).

Questa premessa è importante perché registi e scenografi, secondo il vostro “chroniqueuer”, dovrebbero una volta per tutte abbandonare Boston, gli indiani e tutta l’iconografia da Mayflower in cinemascope che, per una stupidità censoria, accompagna “Un Ballo in Maschera”. Lo si dovrebbe concedere solo all’Arena di Verona a ragione dello smisurato palcoscenico da riempire con Sioux e pionieri e da trasformare una festa da ballo in un Carnevale di Rio. “Un Ballo” è essenziale: in una “corte” o società essenzialmente amorale, un uomo probo si innamora, carnalmente, della moglie del suo migliore amico; ne è ricambiato; uomo e donna si spiegano senza mai sfiorarsi; ma per una serie di circostanze ed equivoci, il marito che si crede tradito (senza esserlo) uccide il proprio più caro amico. Il libretto è contorto, ma la musica (anche se non senza qualche asperità) lo trasfigura: un caso che accomuna “Un ballo” con delle opere più belle e più sofferte di Verdi (“Simon Boccanegra”). L’azione si svolge quasi interamente sul boccascena, ma dai due lati spettatori/comparse assistono e partecipano ai momenti di massa mentre sul grande muro dello Sferisterio vengono proiettati su tre schermi dettagli in un bianco e nero dei cinegiornali dell’epoca. Uno spettacolo affascinante che coglie il senso “politico”, e passionale, de “Un Ballo”
.

In questa edizione, regia, scene , costumi e luci sono affidati a Massimo Gasparon, il quale ben sa che la povertà aguzza l’ingegno. Ha ritrovato, nei magazzini del “Regio” di Parma, i reperti di un allestimento curato un quarto di secolo fa da Pierluigi Samaritani; ha rimesso a nuovo quel che poteva e lo ha integrato con nuovi elementi. Uno spettacolo visivamente molto bello con scene dipinte, non costruite, che ricordano la Vanvitelliana Regia di Caserta o Versailles, più che la Boston dei pionieri o la Svezia. Essenziali, ma eleganti, le danze curate da Roberto Maria Pizzuto. La parte musicale è affidata a Gianluigi Gelmetti che si destreggia bene tra convenzioni anche del passato (quali l’impiego di un soprano di coloratura “en travesti”) e l’innovazione di costruzione musicale per scene intere. E fa riscoprire una qualità poco rilevata di Verdi: l’abilità nel contrappunto. Lo assecondano voci di spessore. Francesco Meli ha completato, nonostante la giovane età, la transizione da tenore lirico mozartiano a tenore “spinto” verdiano, con “do” risuonanti, dolcissimi “mi” e l’abilità, nella scena finale, di andare dalla “mezza voce” al “pianissimo”. Vladimir Stoyanov è un baritono verdiano di razza: il suo “Eri Tu!” è d’antologia. Kristin Lewis ha ormai una dizione italiana perfetta, è un soprano drammatico di qualità; alla diurna del 9 ottobre ha avuto qualche incertezza nel duettone del secondo atto ma ha fatto tremare il teatro, con applausi e ovazioni, al “Morrò, ma prima in grazia” del terzo. Serena Gamberoni ha affrontato con disinvolta bravura le colorature richieste al personaggio di Oscar. Elisabetta Fiorillo è una rodatissima Ulrica. Bravi tutti gli altri. Grande successo.
(Hans Sachs) 10 Ottobre 2011 14:41

Nessun commento: