mercoledì 26 ottobre 2011

L’”AFFARE MAKROPOULOS”: IL DRAMMA DI AVERE 300 ANNI Il Riformista 27 ottobre

L’”AFFARE MAKROPOULOS”: IL DRAMMA DI AVERE 300 ANNI
Beckmesser


Firenze- “Il Caso Makropoulos” o “L’Affare Makropoulos” (a seconda delle traduzione)) di Leoš Janácek arriva a Firenze in un allestimento nuovo di zecca . Ha le guise di un dramma poliziesco: un processo su una vertenza di successione che dura da più di cent’anni in cui si inserisce una bellissima e giovanissima cantante - Emilia Marty - che tanto sa (e tanti documenti sa trovare) ma cerca disperatamente un manoscritto in greco. Il dramma di Čapek dura oltre quattro ore ed è farcito di discorsi filosofici. I tre atti di Janácek durano 90 minuti e rendono meglio se vengono rappresentati senza intervallo. L’opera in effetti tratta del valore e della durata della vita come esperienza terrena. Emilia Marty ha 337 anni; ha avuto negli oltre tre secoli vari nomi tutti con le iniziali E.M.; suo padre, il negromante cretese Makropoulos, ha predisposto una lozione di lunga vita per l’Imperatore d’Ungheria, lei la ha provata, è rimasta sempre giovane ma allo scadere dei giorni in cui si svolge l’opera deve bere di nuovo la pozione o morire. La ricetta si è smarrita nelle mani di un antenato di coloro coinvolti nel maxi-processo. Quindi, la sua ricerca affannosa . È così bella che una delle controparti nel processo (senza sapere di essere un suo bisnipote si innamora perdutamente di lei) e che un altro si suicida quando apprende che suo padre (in possesso delle carte in greco) dà il documento in cambio di una notte di sesso con lei. Ma, pure sotto le lenzuola, Emilia è fredda. In 300 anni, i suoi amici, i suoi amanti, le sue persone care sono sparite, mentre lei vagava da Paese a Paese. Quando ha il documento, lo cede alla fidanzata (giovane) di uno dei suoi innamorati, che lo brucia, mentre lei invecchia in pochi istanti e muore.
La scrittura orchestrale e vocale di Janácek è un magico equilibrio tra il melodismo nostalgico slavo e il sinfonismo pagano di Richard Strauss, con influenze di Debussy (del quale Janacek conosceva bene sia “La Mer” sia “Pelléas”), un ininterrotto mormorio, inafferrabile e inclassificabile, , e provvisto di temi di assoluta originalità, nonché di delicatezza impressionistica e di calligrafismo sonoro Ancora più interessante la scrittura vocale in cui note e parole si plasmano a vicenda le une sulle altre sino all'immenso arioso finale. Un equilibrio che si può afferrare, con l'ausilio dei sovratitoli.

L'allestimento è curato, per la parte drammaturgica, dal noto regista americano William Friedkin e, per quella musicale, da Zubin Mehta. Un scena unica con proiezioni ed effetti speciali che evocano le vicende pregresse di E.M. da parte di tutti gli altri. Grande cura alla recitazione. Ampia la concertazione di Mehta con tempi dilatati ed accenti tardo romantici.. E.M. è Angela Denoke, uno dei rari soprano in grado di affrontare il difficilissimo ruolo in cui si va dal chiacchierar cantando al declamato ed un arioso imperniato sui Do. Miro Dvorsky, un tenore di razza, è Albert Gregor. Andrej Dobber, un baritono mellifluo, Jaroslav Prus, Mirko Guadagnini suo figlio Janek, Jolana Fogašová la giovane Krista .Con i numerosi altri costituiscono un'ottima compagnia di canto. Grande successo.

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