Il Cavaliere della Rosa
ALLA SCALA L’EUROPA E’ GIA’ IL PASSATO
Beckmesser
“Der Rosenkavalier” (“Il cavaliere della rosa”) è la più importante commedia in musica del Novecento. Dopo un lungo periodo in cui in Italia il lavoro di Hugo Von Hoffmannsthal e Richard Strauss è stato considerato quasi come un’operetta o parte di una produzione “minore”, rispetto a “Elektra” e “Salome”, sta diventando un’opera rappresentata di frequente nei maggiori teatri della Penisola. Negli ultimi anni, “Rosen” si è visto a Genova, Firenze, Milano, Torino, Napoli, Palermo, Spoleto, Catania, Bologna e Roma. Alla Scala mancava dal 2003, quando vi è approntato un allestimento di Pier Luigi Pizzi concepito una diecina di anni prima per il Carlo Felice di Genova. Ora, il Piermarini ha fatto le cose in grande: una nuova co-produzione con il Real di Madrid e di Parigi. E soprattutto con una lettura molto differente, sotto il profilo sia drammaturgico sia musicale, di quella di Otto Schenk e Carlos Kleiber (immortalata in Dvd) e da lustri in repertorio a Vienna ed a Monaco. Non è interamente una novità: si basa su un allestimento del 1995 di Herber Wernicke (deceduto nel 2002) per Salisburgo ripreso da Alejandro Stadler. La “versione” di Werrnicke è stata vista (in vari adattamenti) in numerosi teatri.
Der Ronsenkavalier" può essere interpretato a vari livelli: a) una "commedia per adulti" (dietro la maschera superficiale di una pochade per fare cassetta) sulla formazione del giovane protagonista (quindi, una "Bildungsoper"); b) una "rievocazione in musica" del tempo andato; c) un messaggio politico alto e forte sulla transizione (il "Verwandlung" che ha un ruolo fondante nella cultura non solo tedesca ma europea nella seconda parte del XIX e nella prima del XX secolo e che è di grande rilievo all’Italia ed alla Roma di questo primo scorcio di XXI secolo).
La "Bildungsoper" si basa su spunti spudoratamente falsi. La "cerimonia della rosa" centrale all'intreccio non è mai stata parte delle tradizioni della Vienna né del Settecento né di altri secoli. Nell'Impero austriaco, il cambiamento sociale - la decadenza dell'aristocrazia di provincia ed il sorgere di una borghesia mercantile - si verifica anch'esso in un'epoca distinta e distante da quella della metà del XVIII secolo. Infine, il valzer il cui tempo scandisce momenti salienti della "commedia" (ed è entrato prepotentemente nella "vulgata" sul "Der Rosenkavalier") è stato inventato diversi decenni dopo il periodo in cui si svolge la vicenda
Nell’allestimento alla Scala sino al 20 ottobre, l’azione si svolge in un contesto atemporale tra il 1750 (circa) e l’inizio del Novecento. Se ne de enfatizzano gli aspetti comici ma si , accentua la melanconia per la fine di un’epoca (oltre che della giovinezza dei tre protagonisti). Lo assecondano i tempi dilatati del trentenne Philippe Jordan alla guida dell’orchestra e tutto l’ottimo cast dai quattro protagonisti (Anne Schwanewils, Joyce DiDonato, Jane Archibald, Peter Rose) ed i numerosi interpreti secondari , tra cui spicca Marcelo Alvarez nel breve ma difficile ruolo del “tenore italiano”. La scelta è netta: un bellissimo spettacolo non sulla fine della “Felix Austria” ma su un’Europa che , se non è già sparita, sta melanconicamente diventando un ricordo del passato.
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