mercoledì 27 aprile 2011

il Quartett "freddo" di Francesconi non scalda La Scala Il Velino 27 aprile

CLT - Opera, il Quartett "freddo" di Francesconi non scalda La Scala
Al debutto tiepida reazione del pubblico milanese. Il lavoro, già prenotato all’estero, tuttavia si farà strada grazie al suo mix intelligente di stili differenti


Milano, 27 apr (Il Velino) - “Quartett” di Luca Francesconi è senza dubbio l’evento più importante del Festival “Suona Francese” in corso sino a fine giugno in 40 città italiane. Il lavoro, che ha debuttato ieri alla Scala di Milano, dov’è in cartellone sino al 7 maggio, è stato commissionato dal teatro milanese in coproduzione con Vienna Festwochen, l’English national Opera e l’Amsterdam Opera ed è già stato prenotato da altri teatri d’opera europei e americani. “‘Quartett’ di Heiner Müller è uno dei testi più famosi del teatro moderno - spiega Francesconi -. È specchio di una società che ha abolito il senso dell’umanità. Lo scontro fra la Marchesa di Merteuil e il Visconte di Valmont è una lotta spietata di potere. È la denuncia del mondo occidentale che pretende di risolvere tutto con un apparente controllo assoluto sulle cose. I due personaggi sono ‘polifonici’ e impegnati in un gioco di maschere che moltiplica le identità. E sono costretti a un patto, lo stesso delle ‘Liaisons dangereuses’: abolire l’amore”. Oltre che della musica, Francesconi è autore del libretto in inglese. Attenzione: “cantare inglese” , come ben sapeva Benjamin Britten, richiede un lavoro molto attento e pervicace ; non sempre il testo di Francesconi sia adatta alla musica come un guanto e ogni parola e inflessione non è perfettamente comprensibile a quella parte del pubblico che non accende, sul retro-poltrona, i sottotitoli in italiano.

Al nuovo testo corrisponde un allestimento altamente tecnologico: “Müller è un autore shakespeariano - ha detto Francesconi in un’intervista - e lo spettacolo della Fura ne esalta lo spettro corrosivo con squarci comici. La drammaturgia è legata a tre spazi. Uno claustrofobico interno con un’orchestra da camera in buca - conclude Francesconi -, un livello intermedio, infine ci sono un’orchestra e un coro in eco, una forza primigenia che ‘filtra’ dai muri e dissolve il gioco di travestimenti”. Ci sono stati vari adattamenti cinematografici di “Les liaisons dangereuses”: da quello di Roger Vadim nel 1959 a quello di Stephen Frears nel 1988, fino a quelli più recenti di Milos Forman nel 1989 e Roger Kumble nel 1999. Sono state tratte dal lavoro anche due opere liriche, rispettivamente negli Stati Uniti ed in Belgio. Quartett di Heiner Müller, che ha debuttato nel 1982, è l’adattamento teatrale che ha conosciuta maggiore fortuna (in allestimenti firmati anche dall’autore stesso, Robert Wilson e Michael Haneke). Molto più che un adattamento, Quartett è una riscrittura e reinterpretazione scenica del romanzo di Laclos, cui l’autore si è peraltro ispirato in modo molto generico.

Müller riduce le serrate ma plurime geometrie del romanzo a una claustrofobica partita a due tra i protagonisti, la marchesa di Merteuil e il visconte di Valmont. Una partita resa ancor più opprimente dal fatto di svolgersi in una dimensione che è puramente cerebrale. In scena restano a fronteggiarsi i protagonisti in una guerra dei sessi dal respiro quasi metafisico per la spietatezza e la tensione dello scontro che riduce l’amore - e il sesso stesso - a mera corporeità. Uno sconcertante e sadico gioco teatrale, capace di indagare fino in fondo, con crudo cinismo filosofico, l’anatomia delle passioni umane. Il gusto compiaciuto per la perversione e la brutalità soffocano così la vita, annichiliscono qualsiasi relazione ed emozione sino alla totale distruzione di sé e dell’altro. In questo vortice senza ritorno, dove la dimensione teatrale è decisiva (“Recitare? Che altro si può fare?” si chiede la marchesa di Merteuil), i protagonisti a un certo punto, in un mirabolante gioco delle parti, non soltanto si scambiano i ruoli ma danno voce anche ai personaggi - immaginari o, meglio, della memoria - della signora di Tourvel e di Cécile de Volanges (mentre scompare, rispetto al romanzo, il cavalier Danceny). Da qui, appunto, il titolo Quartett.

Già autore di diversi lavori per il teatro, tra cui “Ballata” (2002) e “Gesualdo considered as a murderer” (2004), Luca Francesconi mettere in rilievo numerosi aspetti di interesse e attualità di Quartett: in particolare, l’identità che si perde “in una moltiplicazione infinita di specchi dove nulla ha valore, in un delirio nichilistico e tragico” può valere come “metafora della intera civiltà occidentale” e immagine del “destino che sembra ripercuotersi anche sul ruolo dell’arte oggi”. Da un lato il testo è ridotto con un dialogo più serrato. Dall’altro, con una seconda orchestra e un coro in eco, gli spazi fisici generano una teatralità dell’ascolto. Il libretto, dello stesso compositore, è in inglese e la natura autenticamente operistica della reinterpretazione si ravvisa su più piani. La sceneggiatura distribuisce anzitutto la vicenda in scene, all’interno delle quali sono enucleati passaggi riferibili agli archetipi dell’arioso, dell’aria o del duetto. Di natura propriamente operistica, poi, sono le voci dei due personaggi, la marchesa di Merteuil (soprano) e il visconte di Valmont (baritono) e l’apporto del coro con le sue funzioni di amplificazione o proiezione sonora del canto e delle azioni dei personaggi stessi. Il trattamento virtuosistico delle voci ricorre a un ampio spettro di stili, tecniche, registri, inflessioni e timbri.

Ci sono due orchestre che svolgono compiti drammaturgici tendenzialmente diversi: se la prima registra le pulsioni private dei protagonisti nei loro spazi claustrofobici, la seconda è una specie di riflesso della sfera sociale e collettiva, quasi un’eco lontana del mondo, sia come forza naturale e senza tempo, sia come rumore di una massa minacciosa e in avvicinamento. Alla cassa di risonanza di quanto accade in scena contribuisce infine, oltre al coro e alle due orchestre, l’elaborazione elettronica di suoni e spazi, mirata a coinvolgere il pubblico in un’esperienza multidimensionale. Gli inglesi affermano che la prova di quanto sia buono il dessert si ha solo quando lo si mangia. Ieri alla prima il pubblico della Scala è rimasto piuttosto freddo: buca e Jean-Michel Lavoire nel retro-palcoscenico, ai due straordinari interpreti (Alison Cook e Robin Adams) e all’efficace impianto scenico e registico del gruppo catalano La Fura del Baus (il migliore e il più adatto allo spartito). In gran misura, il pubblico non pare avere gradito un sesso (masturbazione del soprano nella “cavatina” o aria di entrata; fellatio e sodomia in due duetti) privo di eros ed essenzialmente lugubre. Un viaggio verso la morte in un contesto dove imperversa la morte nucleare. “Quartett” è tuttavia un’opera che farà strada proprio in quanto coniuga in un mix intelligente due stili molto differenti e li innesca su una struttura per molto aspetti convenzionale. È lavoro di grande impatto che onora La Scala riportandola all’epoca quando era una fucina dell’innovazione mondiale: non fu “Falstaff” l’opera di un ottuagenario che apri la strada ad uno dei percorsi del Novecento?

(Hans Sachs) 27 apr 2011 14:39

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