ECO - I tassi sull'euro che scotta
Roma, 7 apr (Il Velino) - La Banca centrale europea (Bce) ha alzato i tassi dello 0,25%. La stretta monetaria, che porta l'asticella dei tassi dall'attuale 1% al'1,25%, è la prima dal luglio 2009 e riporta i saggi ad un valore che non vedeva da oltre 2 anni. Tornando indietro nel tempo, era infatti il 4 febbraio 2009 quando la Bce portò all'1,25% il costo del finanziamento. E’ una mossa da tempo messa in conto dai mercati, grazie all’abile ed efficace campagna di comunicazione condotta in queste ultime settimane dalla Bce. Quindi non ci si devono attendere fibrillazioni immediate sui mercati derivanti direttamente da questa decisioni; ce ne potranno essere perché giunge al momento della richiesta di aiuto del Portogallo all’Unione Europea (UE), dopo un ulteriore abbassamento del rating dei titoli di Stato lusitani sulle piazze mondiali.
Tuttavia, la decisione è di rilievo poiché indica che per il Consiglio Bce, vincolato dagli statuti che si è dato, lo stimolo all'espansione economica passa in secondo piano rispetto ai timori inflattivi. L’aumento è, poi, il segnale di una strategia a più lungo termine che postula ulteriori graduali aumenti dei tassi ove i timori ed i tremori inflazionistici della Bce non ottengano ampie assicurazioni. Ha, quindi, avuto riflessi immediati sul cambio euro-dollaro. Ne avrà di pesanti sul ricorso al mercato che l’Italia dovrà fare nell’anno in corso per fare fronte alle scadenze sul proprio debito pubblico, un ricorso stimato sino a ieri in 240 miliardi di euro e che oggi si pone oltre i 250 miliardi di euro.
Al di là del merito della decisione odierna della Bce (su cui si può o non si può essere d’accordo), occorre chiedersi – come fa in un lavoro in corso di pubblicazione Rainer Willi Maurer della Pforheim Universitat, uno dei maggiori esperti tedeschi in materia di politica monetaria internazionale - se un “tasso d’interesse per tutti” (ovviamente un tasso di base rispetto al quale si diverge o converge tramite lo “spread”) sia sensato. Il lavoro di Maurer prende l’avvio dalla crisi del debito sovrano nell’eurozona; la considera non l’esito di un’insufficiente disciplina di bilancio ma di un errore di fondo nella costruzione dell’unione monetaria: dato che l’area monetaria europea non è “ottimale” (in termini di struttura di produzione e mobilità effettiva, non solo legale, dei fattori di produzione e dei prodotti e servizi), le divergenze tra tassi effettivi comportano una spirale del debito sovrano in alcuni Stati a ragione dell’ampio comparto di beni e servizi non commerciali a livello internazionale e di fattori di produzione che restano sostanzialmente poco mobili. Maurer presenta un’interessante analisi quantitativa a supporto della sua ipotesi e suggerisce che la Bce metta in atto “strategie monetarie specifiche” per ciascun Paese. Ciò, però, vorrebbe dire un’unione monetaria molto differente da quella che si è cercato di costruire a Maastricht e con analogie a quelle del regime di Bretton Woods.
(Giuseppe Pennisi) 7 apr 2011 15:05
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