CLT - Lirica, una “Tosca” d’epoca festeggia Pasqua all’Opera di Roma
Lirica, una “Tosca” d’epoca festeggia Pasqua all’Opera di Roma
Roma, 2 apr (Il Velino) -
In Italia, il Novecento del teatro in musica viene fatto convenzionalmente iniziare il 14 gennaio 1900, data della prima rappresentazione, al “Costanzi” di Roma (oggi Teatro dell’Opera) della “Tosca” di Giacomo Puccini. Si tratta di un’opera più complessa di quanto non diano a intendere le numerose versioni in chiave “popolare” che si susseguono sui palcoscenici italiani e stranieri. Queste edizioni, a torto più che a ragione, pongono l’accento sui lati più facili (le romanze, i duetti, il grandioso “Te Deum”) mentre l’importanza e le bellezze del lavoro stanno altrove. In primo luogo, “Tosca” è un vero e proprio “dramma in musica”, serrato come un libro giallo, con tanto di colpo di scena finale, imparentato, dunque, con la sin troppo dimenticata “Fedora” di Umberto Giordano, che solo un paio di anni prima era andata in scena al “Lirico” di Milano. Inoltre, “Tosca” costituisce l’ingresso di Puccini nel Verismo che allora si contrapponeva al “melodramma verdiano” e ai suoi emuli. Quello di Puccini è un Verismo tinto da grand-opéra, che prende le distanze dall’intimismo lirico della “Bohème”. Infine, “Tosca” si basa su una ricchissima invenzione musicale e una prodigiosa orchestrazione: circa 60 temi intrecciati a momenti, impressioni e oggetti, secondo il procedimento wagneriano dei leit-motive, reso però italianissimo, che plasmano parti vocali incalzanti e interrotte. È questo aspetto, più degli altri, ad aprire il sentiero che porta a Debussy, a Strauss a Janaceck, al più grande teatro in musica del Novecento. È, però, pure l’aspetto meno notato, meno conosciuto e forse meno apprezzato dal pubblico pronto a spellarsi le mani per “Recondita armonia”, “Vissi d’arte” e “E tacean le stelle”.
Il Teatro dell’Opera di Roma, notoriamente in bolletta e su un percorso di risanamento finanziario, ha riportato, come terzo spettacolo lirico della stagione , “Tosca” in un’edizione che vuole replicare il più possibile quanto visto e ascoltato quel 14 gennaio 1900. Le scene sono basate sui bozzetti fatti 110 anni orsono da Adolf Hohenstein. Impostate sul vedutismo di Jean-Baptiste Camille Corot, sono state rimesse a nuovo, negli anni Cinquanta, da Camillo Parravicini con sopraluoghi nei luoghi dove si svolge l’opera (Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese, Castel Sant’Angelo) e nel 1964 sono state riprese in un’edizione diretta da Mauro Bolognini che raccolse un grande successo. Il laboratorio del teatro ebbe allora un’idea brillante: non riprodurre su tela ma su tulle le scene, in modo che meglio resistessero agli anni. In effetti, quelle che si vedono oggi sono le scene di Hohenstein, riviste da Parravicini e infine approntate per lo spettacolo firmato da Bolognini. Fanno ancora la loro bella ed efficace figura. I costumi vengono dai magazzini del teatro (dove ce ne sono circa 50mila). Si adattano bene alle scene, anche se vestire Tosca in rosso nel secondo e nel terzo atto accentua il lato sanguigno lugubre del dramma di Sardou, già così intriso di grand guignol. La regia di Bolognini viene ripresa da Marco Gandini.
È una “Tosca” in economia che piace al pubblico. Al “Costanzi”, dove spesso ci sono file di platea e palchi laterali mezzi vuoti, imperversa il “tutto esaurito”. Per quanto riguarda la parte musicale, la vera sfida è l’orchestrazione. Fabrizio Maria Carminati conosce a fondo la partitura avendola diretta molteplici volte, pure la scorsa estate al Festival Pucciniano di Torre del Lago. Alla “prima”, nel primo atto, ha accentuato i colori pre-espressionistici; nel secondo e nel terzo, ha trovato l’equilibrio dell’intreccio dei temi conduttori. Di grande livello l’orchestra. Cavaradossi è la star del momento al Metropolitan (e non solo), Marcello Giordani (in alcune repliche il ruolo verrà cantato da Salvatore Licitra e Francesco Grollo): timbro chiarissimo, volume da riempire il teatro e da scatenare applausi a scena aperta, perfetto nella dizione e nel fraseggio, nonché nella difficile “mezza voce”. E’ uso a cantare nell’enorme cavea del Metropolitan e ci dà un “Mario” tutto d’un pezzo, superiore a quanto di solito disponibile su piazza. Juan Pons ha interpretato Scarpia quasi 300 volte; si vede dall’abilità espressiva e si sente (lo strumento è un po’ usurato dal tempo): dopo il primo atto sembrava pronto ad un’onorevole pensione ma si è ripreso nel secondo. E Floria Tosca? C’era grande attesa per Svetla Vassileva (in alcune recite la sostituiscono Anda-Louise Bozga e Nanda Vezzù), relativamente nuova al ruolo, anche se lo ha già cantato a Torino ed è avvezza da qualche anno a quello analogo, per spessore vocale e registro di centro, di “Manon Lescaut". È di grande presenza scenica e il pubblico ha applaudito a scena aperta il suo “Vissi d’arte”. Occorre chiedersi se sta compiendo una transizione da soprano lirico a soprano drammatico e se ha deciso di cambiare repertorio, o se pensa di tornare a Mozart, Rossini e al Verdi di coloratura.
(Hans Sachs) 2 apr 2010 14:39
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento