martedì 13 aprile 2010

Riflessione sulle determinanti economiche del modello francese La Quinta Repubblica fa bene all'economia? Ffwebmagazine 13 aprile

Riflessione sulle determinanti economiche del modello francese
La Quinta Repubblica
fa bene all'economia?
di Giuseppe Pennisi Il dibattito su quanto e cosa può essere recepito dal modello della Quinta Repubblica francese nell’eventuale “grande riforma” italiana , non ha, sino ad ora, tenuto conto delle determinanti economiche e delle loro implicazioni. È un aspetto che va colmato. Non può certo farlo una breve riflessione sul nostro webmagazine. Tuttavia, pure un articolo può fare da grimaldello a una discussione più ampia, se del caso da organizzarsi in forma seminariale. A riguardo è utile ricordare che un dibattito analogo si svolse circa 30 anni fa, quando una “grande riforma” per molti aspetti modellata sulla Quinta Repubblica francese fu argomento di confronto tra costituzionalisti ed economisti, specialmente nell’ambito del Circolo Culturale Mondoperaio. Riferimenti espliciti erano inclusi nella relazione alla conferenza programmatica del Psi tenuta a Rimini nella primavera del 1982 sulla base di una relazione redatta in gran misura da Giuliano Amato nella serenità della Brookings Institution di Washington. Ancora nel 1992, quando si era nel pieno della bufera (Tangentopoli, svalutazione della lira, riforma della legge elettorale), il presidente della Fondazione Nenni Giuseppe Tamburrano, uno storico ma non digiuno di economia, sottolineò le ragioni economiche per recepire parallelamente semi-presidenzialismo e sistema elettorale a due turni come in Francia allo scopo di potere prendere le decisioni tempestive per fare uscire dalla crisi un’Italia la cui lira aveva perso il 30% del proprio valore internazionale. Ma andiamo a riferimenti più attuali . E poco noti nel nostro paese . La monumentale The French Fifth Republic at Fifty Beyond Stereotypes, curata da Sylvain Brouard, Andrew Appleton e Amy G. Mazur - e pubblicata l’anno scorso da Macmillan - illustra chiaramente, specialmente nella sua seconda parte, come i meccanismi elettorali sono parte integrante del sistema istituzionale che ha consentito il riassetto dello Stato e della Pubblica amministrazione, e come la riforma monetaria degli anni Sessanta, l’accordo del Louvre del 1987, una politica industriale aggressiva e di successo siano frutto non solo del semi-presidenzialismo ma anche dei meccanismi elettorali e della netta scissione tra funzioni dell’Esecutivo e dell’Assemblea (sino all’incompatibilità tra lo status di parlamentare e di ministro). Alla base del successo c’è il binomio tra concentrazione di responsabilità chiaramente individuabili al centro (per potere prendere decisioni, sempre più spedite a motivo della rapidità richiesta dall’integrazione economica internazionale , e dai mercati finanziari), e massimo sviluppo del capitale sociale a livello locale e nella rappresentanza all’Assemblea Nazionale.Lo hanno sottolineato in interventi recenti, pur partendo da punti di vista differenti, politologi come Giovanni Sartori e Ernesto Galli della Loggia. Il meccanismo a doppio turno – proporzionale con percentuale di sbarramento al primo turno, ballottaggio tra i candidati che hanno ottenuto una rappresentanza elevata, al secondo – è strumento non solo per smussare la rappresentanza parlamentare degli estremi (senza, però, escluderla) ma soprattutto per esaltare il controllo sociale degli eletti a livello locale, ridurre i costi economici e politici di transazione e fare sì che i rappresentati si sentano effettivamente tali e abbiamo strumenti efficaci per incanalare le loro legittime istanze. In un certo modo, lo ha teorizzato lo stesso Premio Nobel per l’Economia John Douglas North – distinto e distante sia dalla Quinta Repubblica francese che dalle nostre beghe interne di bottega.Il binomio – attenzione – consente, anzi favorisce, una più efficiente organizzazione territoriale della Repubblica (quindi una più efficace e più funzionale ripartizione dei compiti, e dei cespiti tributari, tra Sato e Regioni) proprio grazie all’apporto che il meccanismo elettorale a due turni da allo sviluppo di capitale sociale. Se le ragioni qui delineate non sono sufficienti, si controbatta. Non si può eludere il problema.

13 aprile 2010

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