Giuseppe Pennisi
“Werther” di Jules Massenet (in scena al Regio di Parma sino al 2 maggio) è riletto da Marco Carniti (di norma alla prese con la prosa e con il cinema) vede il debutto nel ruolo del trentenne Francesco Meli.
Carniti trasferisce la vicenda dalla Weimar dell’inizio del XIX secolo ad un’Europa vagamente nordica dell’inizio del XX. I bambini vestono alla marinara. Gli abiti delle Signore riflettono la moda dell’epoca. Soprattutto si sente odore di Ibsen e di Strindberg (o di Giacosa che, allora, era la versione nostrana dell’avvicinamento del teatro alla psicoanalisi). Sin dal corteo funebre che accompagna l’ouverture, si avverte una forte impronta psicoanalitica, più che romantica : Charlotte sposa Albert (pur amando Werther) per prestare fere alla promessa alla madre morente (il cui scialle è sempre in scena)ma la sua mente, non solo quella del giovane, gradualmente si sconvolge (come mostra il disordine crescente nella sua stanza). Sonia Ganassi, veterana del ruolo, dà bene questo taglio psicoanalitico al personaggio.
Meli, dal canto suo, regge una parte molto ancorata al registro di centro, ma non priva di impervi acuti. Ci si deve chiedere se dopo avere interpretato Idomeneo, Gabriele Adorno (in “Simon Boccanegra”) e Werther, potrà mai tornare ai ruoli “di agilità” rossiniani che hanno lanciato la sua carriera. Deliziosa Serena Gamberoni (Sophie), efficace Giorgio Caoduro (Albert), accurata la concertazione di Michel Plasson. Comprensibile il francese di tutti.
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