giovedì 15 aprile 2010

Teatro, la “gioventù bruciata” di Schreker fa shopping a Ikea Il Velino 15 aprile

CLT - Teatro, la “gioventù bruciata” di Schreker fa shopping a Ikea

Teatro, la “gioventù bruciata” di Schreker fa shopping a Ikea
Roma, 15 apr (Il Velino) - Ieri, al Teatro Massimo di Palermo, si è tenuta una delle più importanti “prime” italiane della stagione: a 90 anni dal debutto a Francoforte, è arrivata “Die Gezeichneten” di Frank Schreker (1878-1934). L’attesa era grande: l’International Herald Tribune ha dedicato mezza pagina di presentazione all’evento, cosa che non avviene neppure in occasione delle “prime” di maggior spessore alla Scala. Perché questa attenzione? Nella Germania degli anni Venti, Schreker era generalmente considerato il successore di Richard Strauss come compositore più importante di teatro in musica. Più giovane di lui di circa tre lustri, coniugava un’orchestrazione lussureggiante con arditi giochi di voce e si cimentava in libretti che affrontavano tematiche terribilmente attuali pur collocando l’azione in tempi lontani. “Die Gezeichneten” (comunemente tradotta in italiano “I Predestinati”, mentre l’originale tedesco vuol piuttosto dire “i bollati” o “i marchiati”, ma, dato l’argomento, sarebbe quasi meglio titolarla “Gioventù bruciata”), è stato uno dei maggiori successi tedeschi. Se ne contano circa 80 allestimenti in una sessantina di teatri in paesi di lingua teutonica tra il 1918, “prima mondiale” a Francoforte, e l’avvento del nazismo , quando la musica di Schreker fu inclusa tra quella considerata “degenerata” e l’autore (nelle cui vene scorreva un po’ di sangue ebraico) venne cacciato dal conservatorio di Berlino di cui era direttore: un’espulsione che gli causò un prematuro infarto ad appena 56 anni non ancora compiuti.

La vicenda può dare luogo a molteplici interpretazioni. In una ipotetica Genova rinascimentale, il ricco e aristocratico Aviano (colto, raffinato e colmo di buone intenzioni ma gobbo e deforme), ha trasformato un’isola di famiglia in quello che dovrebbe essere un paradiso terrestre (l’isola Elysium). L’isola è disabitata. Aviano intende cederla alla Repubblica contro il parere degli aristocratici, ma con il supporto dei borghesi e del popolo in senso lato. Nel contempo, però, altri giovani aristocratici o ricchi borghesi utilizzano i giardini e le grotte dell’isola, specialmente una a cui si accede attraverso una porta segreta, come un bordello dove consumare le orge più estreme. A Genova, spariscono diverse fanciulle e alcune voci mettono le sparizioni in rapporto con l’isola. In questo clima, Aviano che, pur bruttissimo ha occhi dolcissimi, attrae l’interesse di Carlotta, bella figlia del podestà e pittrice. Carlotta propone di fare un ritratto ad Aviano di cui vuole cogliere l’espressione estatica. Il giovane credendola innamorata si dichiara a lei ma la fanciulla, apparentemente casta, non solo è feticista ma ha una relazione con il bellissimo Tamare, dall’inarrestabile frenesia sessuale. In un orgia nell’isola, Carlotta muore durante un gioco erotico con Tamare, che viene a sua volta pugnalato da Aviano, il quale, resosi conto di cosa è diventata la “sua” isola, impazzisce.

Freud e le teorie sulla sessualità repressa, ha scritto efficacemente Elvio Giudici nel suo monumentale lavoro sull’opera in cd e dvd-, nonché “Sesso e carattere” di Otto Weininger sono il sostrato del dramma, dominato dall’ambiguità dei protagonisti e del mondo che li circonda. Il torbido e morboso libretto può anche essere letto come raffigurazione della gioventù aristocratica e borghese tedesca negli anni successivi alla sconfitta nella Prima guerra mondiale. Perso ogni ideale e ogni valore, sanno trovare uno scopo di vita unicamente sotto le lenzuola, mentre il mondo dell’aristocrazia (il doge), dell’alta amministrazione (il podestà) e della stessa borghesia non si rende conto dello sfacelo in cui versa la “gioventù bruciata”. L’opera è, per molti aspetti, il trionfo della sensualità decadente in musica: specialmente nel lungo terzo atto, un opulento splendore sonoro si alterna con cromatismo ristagnante dove il disegno armonico si espande con fisionomie timbriche e melodiche, nonché con variazioni dinamiche con tinte impressionistiche sempre più luccicanti, contrappuntate da pennellate espressionistiche . Dall’orchestra (120 elementi) e dalla vocalità (24 solisti) , si sprigiona un eros macero specchio di un mondo che ha perso ogni speranza. “Die Gezeichneten” richiede un organico di voci assuefatte al teatro in musica di Strauss.

Vietata in Germania dal nazismo, in quanto parte integrante della “Entratete Musik” (musica degenerata) e incisa in studio o da esecuzioni radiofoniche dal vivo tre volte negli anni Novanta, non è tornata sul palcoscenico (pure a ragione degli elevati costi di allestimento) che nel 2005, a Salisburgo, in un’edizione che fece epoca pure per le nudità e le scene di sesso esplicito che conteneva. Da allora, “Die Gezeichneten” è tornata sui palcoscenici tedeschi (ad esempio a Stoccarda) e svizzeri (Zurigo) e lo scorso marzo ha avuto la sua prima rappresentazione scenica negli Usa (a Los Angeles). E’ senza dubbio un lavoro che merita di essere conosciuto e che sta avendo una nuova stagione di successi. Pur conoscendo bene le incisioni (una sola, quella della Decca, è integrale), unicamente la messa in scena può dare contezza piena del suo successo. In estrema sintesi, una delle ragioni della sua fama negli anni Venti e Trenta è che rispecchiava lo sgomento e l’incertezza della Germania post-bellica. Ora rifletta quelli di un’Europa che ha perso la sua centralità. Ha, però, lungaggini e poca compattezza, specialmente nei primi due atti. Complessivamente, è meno compatto del precedente “Der ferne Klang” di pochi anni prima, visto in Italia a La Fenice a metà anni Ottanta.

A Palermo , l’opera è stata presentata in versione integrale , mentre alcuni tagli avrebbero giovato specialmente nel primo e nel secondo atto dove ci sono lungaggini teatri e musicali. Inoltre, il lavoro prende quota musicalmente e drammaturgicamente soprattutto nel lungo e vorticoso terzo atto. Discutibili la regia di Graham Vick e le scene e i costumi di Paul Brown, non tanto perché portano la vicenda ai giorni nostri (la Genova rinascimentale di Schreker è pura astrazione), ma perché la situano in un mondo stilizzato e a colori sgargianti, tra Ikea e Maigritte, distante dall’atmosfera macera intrisa di sangue ed eros della partitura. Vick sostiene che tale è l’ambiente dei “nouveaux riches” in questo primo scorcio di XXI secolo. Potrà anche esserlo, ma l’ambientazione pare scollata dal lavoro di Philippe Augin e dell’orchestra che trasuda perdizione e perversione. Di livello i protagonisti (Angeles Blanca Gulin, Peter Hoare, Scott Hendricks) in ruoli davvero impervi e il vasto numero di cantanti. Molto curata la recitazione, come sempre quando la regia è di Vick. Un po’ freddo il pubblico della “prima”. Entusiasta quello dell’anteprima per i giovani.

(Hans Sachs) 15 apr 2010 14:19

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