CLT - Teatro, al Regio di Parma un “Werther” in psicoanalisi
Teatro, al Regio di Parma un “Werther” in psicoanalisi
Roma, 23 apr (Il Velino) - “I dolori del giovane Werther” di Goethe è un romanzo epistolare imperniato esclusivamente sui sentimenti. La sua pubblicazione, alla fine del Settecento, provocò un vero e proprio uragano in Europa perché interpretava lo spirito del tempo meglio di quanto scritto sino ad allora. Innescò anche numerose imitazioni come “Le ultime lettere di Jacopo Ortis” di Ugo Foscolo. Lo sviluppo drammatico è quasi esclusivamente nelle crescente solitudine ed “ennui de vivre” del protagonista giovane aristocratico 23enne della Westfalia, innamorato della ventenne Charlotte , promessa sposa al suo migliore amico Albert (25 anni) poiché ciò è stato richiesto alla giovane dalla madre morente. Sempre più solo, Werther giunge al gesto estremo: suicidarsi con le pistole dategli dallo stesso Albert, consapevole della situazione. Goethe sviluppò in modo magistrale la dissonanza crescente tra la prestanza fisica, l’amore per la natura e i momenti di gioia del protagonista, da un lato, e la sua sempre più straziante disperazione. Nel romanzo, Charlotte non ha un vero e proprio sviluppo drammatico-psicologico: ama Werther ma deve sposare un altro perché così dicono le consuetudini del tempo e la parola data alla madre.
Pochi ricordano che il romanzo attirò quasi da subito autori di teatro in musica: già nel 1792 andava in scena un’opera di Kreutzer. Furono molto i musicisti italiani che trassero opere dal lavoro: Vincenza Pucitta (Venezia, 1802), Niccolò Benvenuti (Pisa , 1811), Roberto Gentili (Roma 1862). Non mancarono gli spagnoli , Eduardo Ximenes (Velancia , 1879). E naturalmente i tedeschi. Pochi di questi lavori sono oggi ricordati. L’unico sempre sulle scene è quello di Massenet. Ci volle una cooperativa di librettisti (Eduard Blau, Paul Millier, Geroges Hartmann) per permettere a Jules Massenet di farne un “dramme lyrique”, inizialmente rifiutato dai teatri francese, ma di successo in tutto il mondo dopo il trionfo a Vienna nel 1892. Più importante del libretto, peraltro fedele alla vicenda, è la scrittura orchestrale e vocale di Massenet ,specialmente nelle due arie di Werther sul tema del nesso tra l’uomo e la natura: in ambedue i casi, la natura è qualcosa di oggettivo (e di oggettivamente bello ed attraente) in cui il giovane proietta la propria tormentata vita interiore.
Nonostante si tratti di dramma in musica, molto francese e chiaramente agganciato all’inizio del Romanticismo, “Werther” ha ancora grande successo in Italia. Nel 2007, ci furono ben tre differenti allestimenti. Uno a Roma (regia di Alberto Fassini ripresa da Joseph Francioni Lee), molto oleografico in cui si giustapponeva la solitudine di Werther (sino al passo estremo) a un ambiente bigotto descritto nei minimi particolari con scene grandiose e tradizionali. La direzione di Alain Lombard era lirica. Giuseppe Filianoti era un Werther fervido ed ardente. Accanto a lui Beatrice Uria Manzon , bella e passionale. Un secondo a Napoli, offriva un Werther stilizzato e sensuale, in cui i due protagonisti erano in scena già nella sinfonia. La regia di Decker e le scene di Gussman non erano descrittive ma allusive. L’accento poggiava sugli stati d’animo. A differenza di Filianoti (un bari-tenore dal repertorio già vastissimo), José Bros è specializzato nei ruoli “belcantistici”: il suo era un Werther struggente e dalla vocalità spericolata ma mai volgare. Non fu facile essere sexy (come voleva Decker) per Sonia Ganassi, la cui Charlotte giocava interamente sull’abilità vocale. Un terzo allestimento, innovativo e inconsueto, ci fu a Savona e Rovigo. Nel 2009, un “Werther” all’acquerello (con Filianoti nel ruolo del protagonista) si è visto al teatro Cilea di Reggio Calabria.
Sino al 2 maggio è in scena al Teatro Regio di Parma l’edizione approntata tre anni fa per Savona e Rovigo. Nel tempo è cresciuta ed è diventata più interessante di quanto non lo fosse nella primavera 2007. Il regista Marco Carniti (le scene sono di Alessandro Chi) trasferisce la vicenda dalla Weimar dell’inizio del XIX secolo a un’Europa vagamente nordica dell’inizio del XX. I bambini vestono alla marinara. Gli abiti delle signore riflettono la moda dell’epoca. Soprattutto si sente odore di Ibsen e di Strinberg o di quel Giacosa che, allora, era la versione nostrana dell’accostarsi del teatro alla psicoanalisi (si pensi a “Tristi Amori”). Sin dal corteo funebre che accompagna l’ouverture, si avverte una forte impronta psicoanalitica più che romantica: Charlotte acquista un ruolo centrale. La promessa alla madre morente (il cui carro funebre attraversa il palcoscenico durante l’ouverture e il cui scialle è sempre in scena) gradualmente sconvolge la sua mente e non solo quella di Werther. Lo dimostra il disordine crescente nella sua stanza. Nonché nello studio del protagonista che si spara tra cataste di libri. Sonia Ganassi, veterana del ruolo, dà bene questo taglio psicoanalitico al personaggio. Rispetto alla versione napoletana di tre anni fa, ha perso peso, ha costumi che meglio le si adattano ed è diventata complessivamente più attraente. Francesco Meli, dal canto suo, regge una parte molto ancorata al registro di centro, ma non priva di impervi acuti. Sfoggia un fraseggio elegante e un “legato” delicato e , soprattutto, affronta con disinvolture le “mezze-voci” richieste dalla partitura spesso subito dopo momenti “spinti” Ci si deve chiedere se dopo avere interpretato Idomeneo, Gabriele Adorno (in “Simon Boccanegra” circa un mese fa sempre a Parma) e Werther, potrà mai tornare ai ruoli “di agilità” rossiniani che hanno lanciato la sua carriera. Deliziosa Serena Gamberoni (Sophie); dà al personaggio una solida consistenza psicologica, togliendola dagli schemi consueti di farne una pupattola alla Pollyanna. Efficace Giorgio Caoduro (Albert). Accurata la concertazione di Michel Plasson. Ottimo il francese dei due protagonisti , buono quello degli altri.
(Hans Sachs) 23 apr 2010 13:57
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