domenica 18 aprile 2010

MUSICA ROMANA: UN TOCCASANA IL DECRETO FUS Il Tempo 18 aprile

MUSICA ROMANA: UN TOCCASANA IL DECRETO FUS
Giuseppe Pennisi
Ci spiace. Ma non ci accodiamo al coretto a cappella che la mattina del 17 aprile ha sparato sul decreto legge in materia di fondazioni lirico-sinfoniche. Da un lato, il vostro “chroniquer” è sempre stato stonato. Da un altro, il provvedimento è un primo passo sulla “strada giusta” (come sostiene Filippo Cavazzoni - unica voce dissidente, unitamente alla mia, dal “coretto”- sul”Chicago Blog” dell’Istituto Bruno Leoni, non certo contiguo al Governo). Da un altro ancora, il decreto contiene misure importanti sia immediate sia in potenza per dare a Roma la centralità che la capitale merita.
La prima bordata di critiche da parte del coretto riguarda la necessità di una misura d’urgenza come un decreto legge. Con 7 delle 14 fondazioni con i bilanci consuntivi in rosso, tre appena uscite dal commissariamento, altrettante prossime ad esserlo, con sovvenzioni pubbliche (pur pari alla metà dell’intero Fus, Fondo unico per lo spettacolo) che non coprono il costo dei dipendenti (una voce in vera e propria escalation), da due anni sostengo su Il Tempo l’urgenza di prendere misure prima che la lirica passi dalla sala di rianimazione alla camera ardente. L’intervento, indispensabile, è sulla maggiore voce di costo: il personale, allineandone la contrattazione ed altre regole al resto del settore pubblico (dato che Pantalone lo paga interamente). E’ difficile capire perché molti teatri italiani (con 7-10 opere l’anno in cartellone) hanno un organico analogo a quello della Staatsoper di Vienna (che nel 2010 offre 50 titoli e 10 nuovi allestimenti). Contrattazione nazionale tramite la mano pubblica (nel caso italiano, l’Aran), assunzioni legate al turnover e blocco delle abitudini di alcuni di non presentarsi alle prove per svolgere altra attività professionale sono misure in atto in Germania, Austria, Francia, Benelux, oltre che negli Usa e pure in Russia, nei confronti delle quali è difficile capire le proteste e le minacce di occupazione dei teatri. Portata l’Italia nell’euro, dobbiamo portare le migliori prassi europee nella Penisola. Pure nei teatri.
Roma ha un posto privilegiato nel decreto in quanto si riconoscono le esigenze d’autonomia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia per mantenere, ed accrescere, quello standard internazionale che la ha resa famosa nel mondo. Ed il Teatro dell’Opera? Avremmo voluto che avesse anche lui un ruolo privilegiato, dato il carattere di rappresentanza del teatro lirico della capitale (già, peraltro, riconosciuto per legge). Il decreto, però, è solo un primo passo. Il Teatro dell’Opera ha nuovo Sovrintendente, un nuovo Direttore Artistico e un nuovo CdA: diamo loro il tempo di presentare una programmazione di livello e di attuarla (attirando anche soci privati) in modo il teatro a Piazza Gigli possa fruire di uno status analogo a quello della Scala. Un tempo – occorre ricordarlo – il Teatro dell’Opera vinceva gare con la Scala (in termini di quantità e qualità di offerta); non è, quindi, un traguardo irraggiungibile.

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