CLT - Lirica, “Un giorno di regno”: una pietanza semplice e buona
Lirica, “Un giorno di regno”: una pietanza semplice e buona
Roma, 1 feb (Velino) - Nell’ambito del programma di fare uscire entro il 2013, centenario della nascita di Giuseppe Verdi, tutte e 27 le opere del compositore di Busseto e diffonderle in un cofanetto dvd e in varie catene televisive, il Teatro Regio di Parma ha inaugurato la stagione con “Un giorno di regno”. L’opera, che resterà in scena nella città granducale sino al 9 febbraio, venne composta nel 1839-40 mentre si preparavano i moti risorgimentali del ‘48. Di Verdi e dei suoi rapporti tutt’altro che complicati con il Risorgimento se ne è discusso sulla stampa nei giorni scorsi: l’apolitico compositore era distante da ciò che bolliva in pentola. “Un giorno di regno” è la seconda opera lirica del compositore di Bussetto che allora si considerava suddito del Granducato (ma in cuor suo più piacentino che parmigiano), in trasferta in quella Milano dove c’erano opportunità che mancavano dove regnava Maria Luigia. L’opera è un “melodramma giocoso”, ossia una commedia “comica”, genere a cui Verde tornò , in parte, soltanto 50 anni più tardi con “Falstaff”, definito “commedia lirica”. Un “melodramma giocoso” ha l’obiettivo di fare ridere. Il libretto è di Felice Romani (librettista preferito da Vincenzo Bellini) e Temistocle Solera (alla cui penna si deve poco più tardi il testo del “Nabucco”). A sua volta, il “melodramma giocoso” si basava su una farsa francese, messa peraltro in musica più volte, sulla vicenda di un patriota polacco (i polacchi erano allora oggetto di schermo come in Italia lo sono stati per anni i carabinieri) costretto a fingersi re mentre il vero sovrano, spodestato dai sassoni, tenta di raggiungere Varsavia e ottenere investitura e armi dalla Dieta. Il Cavaliere di Belfiore (questo è il nome del finto re) finisce ospite di un aristocratico spiantato in un castello dove per un giorno si scatenano vari equivoci tra coppie.
Il libretto è poco o più di una innocente commediola. La musica è stata composta in un periodo in cui morirono prima i due figli e poi la moglie del compositore. Verdi non aveva comunque una vena comica e le circostanze non favorirono certo il mettere in musica duettini e cabalette con intento umoristico. Nel 1840 l’opera resse un giorno solo alla Scala. E’stata ripresa sporadicamente nell’Ottocento, ad esempio al San Carlo. Di recente appare con una certa frequenza nelle Schools of Music delle università americane perché tanto la parte orchestrale quanto quella vocale sono abbastanza facili e si prestano alla formazione di giovani strumentisti e cantanti. Nonostante negli anni ’60 del secolo scorso Massimo Mila e Gabriele Baldini abbiano cercato di rivalutarla, la sua messa in scena in teatri d’opera è una rarità. Non mancano situazioni divertenti (per il gusto dello spettatore borghese dell’epoca) nel libretto, ma la partitura del 27enne Verdi è piuttosto incolore, specialmente se raffrontata con lo champagne che all’epoca offriva Rossini o l’eleganza proposta da Donizetti. In effetti “Un giorno di regno” ricorda alcuni lavori del compositore bergamasco considerati minori, come il “Don Gregorio” visto e ascoltato di recente a Catania e di cui esiste anche un pregevole dvd. In“Un giorno di regno”, ci sono momenti musicali di livello, quali il duettino tra i due bassi, ma sono isolati. Ben caratterizzato il personaggio della Marchesa del Poggio. Si tratta, tutto sommato, di una minestra basata su ingredienti di poco pregio.
Per fortuna lo spettacolo è stato affidato a due grandi cuochi, quelli che anche con una materia di base povera e sciapa sanno predisporre pietanze gradevoli: il regista è Pierluigi Pizzi, il direttore musicale Donato Renzetti. Presentano la versione integrale del lavoro, che quando viene messo in scena è di solito tagliato, in una cornice di grande eleganza: il castello dove si immagina la vicenda è il Palazzo della Pillotta a Parma, gli esterni sono in una dolce Padania. Dominano i colori sobri per il coro (varie sfumature del marrone), quelli sgargianti per i sette solisti. Nel cast eccelle Anna Caterina Antonacci (che si vorrebbe ascoltare più spesso in Italia). Gli altri sono in gran misura giovani di buon livello. Particolarmente apprezzabili il baritono (Guido Loconsolo), i due bassi (Andrea Porta e Paolo Bordogna) e il soprano lirico (Alessandra Marianelli). Nel primo atto ha fatto ben sperare il tenore lirico (Ivan Magrì) ma nel secondo ha errato per eccesso di vibrato. Senza il suo tremolio, la pietanza sarebbe stata perfetta.
(Hans Sachs) 1 feb 2010
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