Roma, 25 feb (Velino) - In Italia, l’approssimarsi di importanti scadenze elettorali è, ormai, anticipato dal tintillar di manette. Sembra sia diventata una consuetudine che sta ad altri, meglio attrezzati del vostro “chroniquer”, commentare in dettaglio.
Tuttavia, occorre distinguere tra reati, misfatti e malcostume. Un volta provati, i reati vanno sanzionati a norma di codice, non tramite una campagna di stampa diretta ad influenzare opinione pubblica e magistratura giudicante. Più difficile l’area delle trasgressioni che potrebbero essere chiamate misfatti; i perimetri sono a volte incerti; i confini pure; non è chiaro se consistano in reati veri e propri oppure in inosservanza di norme sociali e di prassi oppure ancora di codici etici. In questi casi, la cautela non è mai troppa poiché una magistratura “etica” ed una stampa “etica” rischiano di non svolgere la loro funzione con obiettività e di scivolare invece sulla china degli autoritarismo che hanno caratterizzato nella stessa Europa (che si gloria di essere la culla della democrazia) il Ventesimo Secolo. Ancora più difficile sapere come trattare il malcostume, la rete di camarille diffuse che, nel nostro Paese come altrove, plasmano spesso il comportamento sia di individui sia di collegi (che proprio perché plurali) dovrebbero contenere nella loro stessa composizione antidoti nei confronti di comportamenti opportunistici e particolaristici.
Un rimedio possibile consiste, prendendo a prestito quello che può sembrare uno slogan elettorale, nel “portare l’euro in Italia dopo che abbiamo portato l’Italia nell’euro”. Non che l’Ue sia priva di “misfatti” e di “malcostume”: le cronache tappezzate di vicende poco edificanti che caratterizzano gli altri Stati dell’Unione e le stesse istituzioni europee. Tuttavia, in Europa si stanno adottando, faticosamente, procedure e – quel che più conta- prassi per contenerle ed eliderle, ove non per estirparle. Il metodo delle best practices, o migliori prassi, è un percorso utile da seguire che, gradualmente ed in via incrementale, può combattere quel malcostume in cui spesso si alimentano i misfatti.
Vale la pena portare “l’euro in Italia” – inteso come prassi migliore delle nostre- solo se la moneta unica è il riflesso ed il simbolo di un’Europa forte ed autorevole. Sono anni che si tratta di questo tema in vari modi e guisa – oggi 25 febbraio, ad esempio, all’Istituto Affari Internazionali se ne discute nel contesto dell’efficacia delle missioni europee di pace – sottolineando principalmente l’esigenza di un’Europa “politica” che si giustapponga a quella tecnica.
Nel vero e proprio fiume di parole, spesso non seguito da proposte concrete, vale la pena esaminare con attenzione la misura , concretissima, lanciata dall’ex-Direttore Generale del Fondo monetario Michel Camdessus: fondere la Banca europea degli investimenti (Bei) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) e dotare l’Ue di un unico strumento finanziario in grado di effettuare prestiti per 10-14 miliardi di euro l’anno – un volume analogo a quello della Banca mondiale. In tali modo, sarà più facile lanciare quei programmi internazionali d’investimento a lungo termini attorno a cui creare, come si è visto su Il Velino nei giorni scorsi, il nucleo delle global rules per il dopo-crisi.
(Giuseppe Pennisi) 25 feb 2010 19:20
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