INVESTIMENTO IN FORMAZIONE PER USCIRE DALLA CRISI
Giuseppe Pennisi
Il dibattito sulle exit strategies dalla crisi sembra riguardare principalmente la redazione di nuove regole finanziarie per il governo dell’economia mondiale e la conclusione di un accordo su talie global rules. Il lavoro ed il capitale umano paiono avere un ruolo secondario nelle discussione in atto.
Per l’Europa continentale ( che da 15 anni, ossia ben prima dello scoppio della crisi, ha tasso di crescita rasoterra), un riflessione sul ruolo del lavoro e del capitale umano è essenziale. Lo insegnano le analisi strutturali sui “miracoli economici” del dopo guerra quando quasi tutti gli economisti si interrogarono sulle determinanti degli altri tassi di crescita dei Paesi distrutti dal conflitto e, successivamente, sulle ragioni che portarono all’esaurimento dei “miracoli”. Specialmente significativi i lavori di Charles Kindleberger (notissimo anche per la penna brillante che rendeva affascinante la lettura dei suoi numerosi scritti) e di Ferenc Jánossy, genero di Lukacs e di formazione matematico-ingegneristica. Scritti a pochi anni di distanza , ma senza che i due autori avessero conoscenza l’uno dei lavori dell’altro, individuano nella qualità della forza lavoro la determinante principale dei “miracoli”. Kindleberger guardava esclusivamente all’Europa occidentale. Janossy che scriveva in magiaro (è stato tardivamente tradotto in tedesco e francese) esaminava anche i “miracoli” in alcuni Paesi dell’Europa centrale . Mentre Kindleberger ha costruito un modello esplicativo su come è stato innescato il “miracolo”, le analisi di Jánossy riguardavano anche come e perché i “miracoli” si sono spenti. La individua nella discrasia tra capitale umano e struttura economica ed occupazionale; in altri termini quando il capitale umano non è più in linea con le trasformazioni della struttura della produzione e del mercato del lavoro, la spinta che ha dato vita al “miracolo” si esaurisce .Quindi, l’indicazione di una politica economica basata su una politica attiva della formazione del capitale umano. L’interessante intuizione di Jánossy ha suscitato un certo dibattito tra economisti europei negli Anni Sessanta ma è stata presto dimenticata.
Un’ipotesi simile è stata formulata , pur senza fare riferimento a Jánossy , dal Premio Nobel James Heckman della Università di Chicago e da Bas Jacobs della Università di Tilburg in un saggio uscito in Germania in gennaio: la determinante del rallentamento di lungo periodo dell’Ue viene individuata nella carenze delle politiche della formazione e di utilizzazione di capitale umano, da “re-inventare” anche a ragione dell’invecchiamento della popolazione: “occorre riconoscere la complementarità dinamica della formazione di competenze”, “è necessario espandere l’investimento nei più giovani, dove si hanno maggiori rendimenti in termini sia di efficienza sia di distribuzione del reddito”, “tentare di rimediare più tardi nel ciclo vitale a carenze di competenze è spesso inefficace”. Heckman e Jacobs sottolineano (con toni analoghi a quelli di Janossy) come la formazione di capitale umano venga frustata se il resto delle politiche economiche ha l’effetto di abbassare i rendimenti dell’istruzione e della formazione: ad esempio, alti tassi marginale d’imposizione tributaria e ammortizzatori generosi riducono i tassi di partecipazione alla forza lavoro e le ore effettivamente lavorate con la conseguenza di una utilizzazione del capital umano più bassa dell’ottimale . In sintesi, le linee di un programma di exit strategy che merita di essere posto al centro del dibattito.
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