Per risollevare l'economia ci vuole coraggio e vitalità
Crisi, non è tempo di piagnistei:
rilanciamo il Pico
di Giuseppe Pennisi Tra poche settimane ricorrono i dieci anni dal varo, da parte di una sessione straordinaria del Consiglio europeo, del programma di Lisbona in base al quale l’Ue sarebbe dovuta diventare nel 2010 l’area più dinamica della comunità internazionale. Costruito con un approccio burocratico centralista di programmazione a cascata, già del 2005, il programma è stato profondamente rivisto, negli strumenti più che con gli obiettivi. Oggi, l’Ue sta uscendo lentamente da una grave recessione e ha un tasso di disoccupazione del 10%.
In Italia, con 2,1 milioni di persone che cercano lavoro senza trovarlo (e con la prospettiva che il tasso di disoccupazione, all’8,4% all’ultima conta, aumenti ulteriormente nel corso dell’anno), la coesione sociale è al tempo stesso obiettivo e vincolo dell’azione di governo. Alle vicende (e vertenze) Fiat e Alcoa – sulle prime pagine dei giornali da settimane – si aggiungono quelle dell’Eutelia nei pressi di Torino, dell’Omsa a Faenza, della IT Holding (sino a pochi anni fa una gemma della moda italiana), della Antonio Merloni e di tante piccole aziende. Anche imprese del Gruppo Finmeccanica (Ansaldo, Alenia, Elsag, Telespazio), sino a tempi recenti considerate saldissime, sono affaticate e ricorrono ad ammortizzatori. Molto più grave, poi, la situazione dei giovani (il tasso di disoccupazione supera il 20%) e di tutti coloro con rapporti di lavoro a termine. La povertà aumenta, specialmente tra le famiglie monoreddito e con figli a carico.
In questo quadro, è importante ricordarsi cosa disse Piero Bargellini, allora sindaco di Firenze, ai tempi dell’alluvione di Firenze: «Non è tempo di piagnistei!». Bargellini era agli Uffizi con il fango sino alle ginocchia. In un momento in cui, a proposito del programma di Lisbona, gran parte della stampa, e della politica, si rifugia nei lacrimatoi, occorre essere propositivi e dare prova di coraggio e vitalità. La proposta è semplice e ha radici italiane: rilanciare, in Italia e in sede europea, il Pico - sigla dimenticata che vuol dire Programma per l’innovazione, la competitività e l’occupazione.
Nel 2005, nelle maratone europee, il Governo Berlusconi dell’epoca arrivò primo. Suscitando l’invidia anche dei francesi, avvezzi a vincere tutte le gare di velocità. L’Italia, infatti, è stata uno dei rari Paesi che ha presentato alla Commissione Europea il “Piano Nazionale per l’Innovazione, la Crescita e l’Occupazione” (il PICO, nel gergo comunitario) entro il termine del 14 ottobre 2005. Lo ha fatto con discrezione, quasi con pudore – un vero tratto di signorilità quando si vince un contesto. La discrezione ed il pudore, però, sono stati tali che la stampa e l’opinione pubblica quasi non si sono accorti del PICO (anche in quanto con la preparazione della campagna elettorale infuriava, ed infuria, la più aspra polemica politica su tutti e su tutto). Si tratta, invece, di documento che va letto, studiato e meditato anche oggi per vedere cosa è stato attuato negli anni successivi (Il Governo Prodi fece di tutto per farlo obliare) e per costruirne uno nuovo, esemplare per il resto dell’UE.
Il PICO 2005 indicava una strada, per molti aspetti al di sopra delle parti, da percorrere per riavviare il motore del sistema Italiana dopo circa tre lustri in cui la crescita è stata rasoterra e si è stati, a lungo, molto vicini alla stagnazione. Le sue radici erano proprio nella “strategia di Lisbona” . Il PICO partiva dalla constatazione che l’Italia presenta una preponderanza di imprese di piccole e medie dimensioni . Una categoria (principalmente a conduzione familiare) è vulnerabile alla competizione di prezzo, specialmente dai Paesi a bassi salari e bassa tutela sociale. Un’altra (il “made in Italy” di alta qualità) è vulnerabile alle contraffazioni. Sono, inoltre, presenti dualismi territoriali e settoriali accentuati. Infine, il Paese è caratterizzato da modi di soddisfazione delle esigenze di solidarietà tali da incidere sui bilanci delle pubbliche e delle imprese , già peraltro gravate da eccessiva regolamentazione.
Il PICO si articolava in due vaste tipologie di strumenti da attivare: provvedimenti a carattere generale i progetti specifici. I primi riguardano : liberalizzazioni, segnatamente nei settori dei servizi; miglioramento delle prestazioni della pubblica amministrazione; creazione di un contesto normativo favorevole agli investimenti; valorizzazione della piccola e media impresa allo scopo di accrescere l’utilizzazione da parte loro delle tecnologie digitali, piena valorizzazione del capitale umano, creazione o completamento di reti infrastrutturali, un’incisiva attuazione della politica di seconda europea.
I secondi concernono : a) il completamento del progetto Galileo per una rete satellitare europea; b) la partecipazione ai progetti europei Egnos e Sesame per la gestione del traffico aereo; c) la realizzazione di piattaforme informatiche per la tutela della salute, lo sviluppo del turismo, l’infomobilità, la gestione delle banche dati pubbliche e territoriali; d) l’attuazione di 12 programmi strategici di ricerca nei settori della salute, farmaceutico e bio-medicale, dei sistemi di manifattura, della motoristica, della cantieristica navale e aeronautica, della ceramica, delle telecomunicazioni, dell’agroalimentare, dei trasporti e della logistica avanzata, dell’ ICT e componentistica elettronica e della microgenerazione energetica; e) la creazione di 12 laboratori di collaborazione pubblico-privata per lo sviluppo della ricerca nel Mezzogiorno nei settori della diagnostica medica, dell’energia solare, dei sistemi avanzati di produzione, dell’e-business, delle bio-tecnologie, della genomica, dei materiali per usi elettronici, della bioinformatica applicata alla genomica, dei nuovi materiali per la mobilità, dell'efficacia dei farmaci, dell’open source del software, dell’analisi della crosta terrestre; f) lo sviluppo di 24 distretti tecnologici, che estendono l’esperienza dei distretti industriali italiani a settori ad alto contenuto tecnologico e potenziale innovativo; g) l’ampliamento e l’uso razionale delle infrastrutture nel settore energetico e idrico; h) settori di rilevanza strategica aventi ricadute tecnologiche nei processi produttivi e nel benessere dei cittadini e in condizione di garantire una migliore tutela ambientale, con particolare attenzione alle fonti energetiche alternative.
Il PICO non era un Piano “chiuso”. Restava “aperto” ad accogliere nuovi contributi provenienti delle capacità progettuali del sistema economico e politico italiano ed europeo, anche perché il meccanismo di nuovi finanziamenti pubblici è basato sul gettito derivante dalla cessione di attività reali di proprietà dello Stato, secondo una logica di gestione patrimoniale (asset management), che avrebbe trovato attuazione nelle scelte che su queste disponibilità verranno effettuate dal Cipe. Obiettivi e metodo sono ancora validi. Una volta fatto un consuntivo delle realizzazioni, esiste la base per lanciare una proposta per i primi anni del decennio appena ininziato.
4 febbraio 2010
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