CLT - Vienna, il Falstaff italiano che da sette anni trionfa all’Opera
Vienna, il Falstaff italiano che da sette anni trionfa all’Opera
Vienna, 25 feb (Velino) - Il mese scorso il “Falstaff” curato da Franco Zeffirelli ha inaugurato la stagione del Teatro dell’Opera di Roma. Era il nono della carriera per l’87enne regista, autore anche di scene e costumi, ma le varie versioni sono tutte evoluzione di quello che predispose nel 1956 nella lontana Tel Aviv (con Serafin al podio), è stato in scena al Metroplitan per oltre 40 anni ed è stato riprodotto in due dvd. A Roma si era già visto negli anni ‘60 e ’70 e in occasione dello spettacolo inaugurale sono state rifatte le magnifiche scene e i bellissimi costumi sui bozzetti originali, essendo quel materiale andato distrutto. Allo Staatsoper di Vienna, che quest’anno mette in scena una trentina di titoli, c’è invece un’edizione di “Falstaff” che tiene banco da sette anni. Ha debuttato nel 2003, viene replicata da allora per una decina di sere ogni stagione ed è firmata da un regista italiano, Marco Arturo Marelli (i cui allestimenti purtroppo non si vedono quasi mai in Italia, anche se sono diventati leggendari all’estero), che cura anche le scene e le luci. I costumi sono di Dagmar Niefind, il direttore d’orchestra, Asher Fisch, è il medesimo che ha concertato a Roma e il protagonista è l’italianissimo Ambrogio Maestri, affiancato da un cast internazionale con una dizione perfetta.
L’impostazione di Marelli è molto differente da quella di Zeffirelli. In primo luogo il suo è un “Falstaff” senza fronzoli: una scena unica, con una pedana scoscesa che si alza per mostrare l’Osteria della Giarrettiera e che con un minimo di attrezzeria diventa la piazzetta di Windsor, la casa di Ford e la foresta. Scelta che oltre a contenere i costi riduce i tempi per i cambi di scena. Lo spettacolo, in due parti, dura circa un’ora meno di quello romano, principalmente per l’eliminazione di un intervallo. A differenza di Zeffirelli, Marelli non cerca di riprodurre i tempi shakespeariani e la vicenda non è in un’epoca definita: Falstaff, Bardolfo e Pistola sono in costumi cinquecenteschi, ma il resto della compagnia è un imprecisato XX Secolo (deliziosa Mrs. Qickly in un abito viola da Regina Madre). Il ritmo è veloce e non mancano le gag, ma l’allestimento è intriso della melanconia della giovinezza ormai lontana. Fisch, travolto a Roma dall’esuberanza zeffirelliana, concerta con bacchetta precisa curando gli impasti tra voci ed orchestra. Lo agevola il cast, che nell’edizione romana turbato da protagonisti ormai al capolinea sotto il profilo vocale. A 40 anni Ambrogio Maestri è un Falstaff perfetto sotto il profilo sia scenico sia vocale, agilissimo nonostante la sua corporatura, riempie il teatro con la sua voce. Di livello eccezionale, il gruppo delle donne: Krassimira Stoyanova, Teodora Georghiu, Jane Henschel e Nadia Krasteva. Buono quello degli uomini: Boaz Daniel, Georgely Némethy, Benedikt Kobel, Herwig Pecoraro, Janusz Monarchia. Un allestimento che non solamente dopo sette anni regge bene, ma che ancora spinge alcuni spettatori, che lo hanno già visto in passato, a tornare a vederlo ancora.
(Hans Sachs) 25 feb 2010 11:49
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