lunedì 12 maggio 2008

UNA FINANZIARIA PER RESTARE IN EUROPA, Il Tempo 12 maggio

Il Tempo ha aperto un dibattito su come riformare la finanziaria e la legge di bilancio perché non siano solo “correttive” degli andamenti tendenziali ma efficaci strumenti di bilancio. A mio parere, le ipotesi di riforma devono ipotizzare che l’Italia resterà una democrazia parlamentare inserita nell’area dell’euro. Da un lato, quindi, non si può seguire il modello Usa dove la finanziaria e legge di bilancio non sono frutto di un documento d’indirizzo della Casa Bianca ma emergono dal Congresso (la prima bozza è redatta dalla Commissione Finanze e Tesoro della Camera) ed il Presidente ha il potere di accettarla o respingerla in blocco (ma deve accettarla se, in seconda lettura, la legge ha due terzi del voto del Congresso). Da un altro, la tempistica deve restare in linea con quella di ddl analoghi di Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Austria e Benelux (come si orchestrò alla fine degli Anni 80; si veda Giuliano Amato “Due Anni al Tesoro”, Il Mulino 1990) altrimenti la politica economica europea andrebbe a gambe all’aria.
Dall’esperienza Usa si può, però, mutuare la “non emendabilità” del ddl (tranne che non a maggioranza qualificata, ossia le Camere potrebbero accettare o respingere in blocco la proposta del Governo ma potrebbe apportare emendamenti unicamente a maggioranza dei due terzi). Dalle modifiche apportate alla fine degli Anni 80 alla finanziaria– ma nella prassi abbandonate nel 1993 – si deve tornare ad una finanziaria che operi unicamente sui saldi di bilancio in funzione degli obiettivi di politica economica (descritte nel volume di Giuliano Amato e ribadite di recente da Franco Reviglio in “Per restare in Europa”, Utet 2006). Ciò eviterebbe leggi “omnibus”, “assalti alla diligenza”, scambi di favori clientelari e la concentrazione dei lavori parlamentari nella sessione di bilancio. Ne guadagnerebbe l’attenzione ai nodi fondamentali della politica economica.
Ciò comporta anche una modifica della tempistica e dei contenuti dei documenti di politica economica. Oggi sono tre, Dpef (Documento di programmazione economica e finanziaria), Rpp (Relazione previsionale e programmatica), e Rge (Relazione generale sull’economia del Paese); vengono pubblicati in tempi differenti (il primo in estate, il secondo in autunno, il terzo in primavera). Ne basterebbe uno solo (come in Francia, Germania., Spagna, Austria e Benelux), poche settimane prima della finanziaria. Dovrebbe tornare ad essere snello (eliminando gli abbellimenti e i riquadri “accademikish” apportati nel 1996) al fine di permettere un efficace dibattito parlamentare sulle scelte del Paese. Per fare sì che tali scelte siano informate non sarebbe male se venisse integrato da documenti di lavoro su singoli temi quali quelli elaborati in Francia nel “programme de rationalitation des choix budgetaires” e nel definiti da Matthew Adler e Eric Posner in “New Foundations of Cost Benefit Analysis” (Harvard University Press, 2007).

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