mercoledì 7 maggio 2008

PAVAROTTI, CHI ERA COSTUI?’ Il Velino 6 maggio

E’ destinato a durare a lungo il dibattito sui pregi ed i difetti di Luciano Pavarotti, Tanto come artista (che da “tenore di grazia” tentò di trasformarsi in “tenore spinto” per diventare una macchina per fare i soldi con il pop) quanto come persona. Ha in ogni caso ha avuto un ruolo significativo nel rilancio dell’opera italiana nel mondo ed in particolare nel portarla alle masse di lande straniere dove la lirica era ignota. E’ riuscito ad affascinare le folle, nonostante i critici sostenessero che la sua conoscenza della tecnica vocale (e della stessa musica) fosse modesta; lo ha fatto grazie ad un timbro chiarissimo, un fraseggio perfetto, una tessitura invidiabili (quando era nei ruoli appropriati) ed un volume generose – tutte qualità che facevano perdonare agli spettatori ed anche a numerosi critici le sue pecche. Genio, quindi, e sregolatezza – difficile dire dove finisse la prima e cominciasse il secondo.
Il libro di Leone Magiera, direttore d’orchestra, e soprattutto accompagnatore e grande amico e sodale di Pavarotti, è contributo a rispondere a queste domande. Non è il contributo definitivo perché dato lo stretto rapporto per circa 40 anni tra l’autore ed il cantante, è, indubbiamente, un libro di parte. L’importanza del volume, però, è stata colta dal New York Times che gli ha dedicato quasi un’intera pagina – suscitando l’interesse della stampa britannica – nonostante che non si disponga ancora di una traduzione in inglese del testo.
Il libro fa conoscere episodi inediti, o noti solamente a pochi intimi. Il concerto inaugurale per le Olimpiadi di Torino non è stato “dal vivo” (come da tutti creduto) ma registrato (a ragione dello stato già avanzato della malattia del tenore), con orchestra e cantante che “mimarono” di fronte al pubblico plaudente – un’indicazione di quella pervicacia che ha caratterizzato tutta la carriera del tenore. Inoltre Pavorotti è stato travolto da un entusiasmo quasi infantile nel varcare la soglia del teatro di Manaus (nella foresta delle Amazzoni) e lo portò ad improvvisare Ch’Ella mi Creda, aria scritta da Puccini per Caruso che proprio su quel palcoscenico aveva cantato. Segno anche questo della passionalità caratteriale del nostro.
Magiera è, in ogni caso, un professionista serio e rigoroso; pur se affezionato a Pavarotti ne ammette le défaillances tra cui il tonfo in occasione del Don Carlos alla Scala ed i tentativi, spesso maldestri, di nascondere la parabola discendente. Riconose, soprattutto, le “imprecisioni musicali” del cantante – argomento considerato anatema dai suoi fans nei cinque continenti del mondo.
Come tutti i libri-testimonianza merita di essere letto per ciò che si scopre tra le righe del lavoro (corredato da nove appendici tecniche molto utili per chi è uomo di cultura o semplicemente interessato al personaggio ma non necessariamente esperto di opera lirica e di vocalità).
Il mio giudizio complessivo su Pavoratti non cambia: dotato di uno strumento ineguagliabile, lo ha manomesso avventurandosi su un terreno non suo. Sarebbe stato il più grande della categoria se avesse limitato il proprio repertorio a Donizzetti, Bellini, Rossini, Meyerber ed alcuni ruoli verdiani, senza mai sfiorare quelli di “tenore spinto” e senza mettersi sul terreno pucciniano e sulla strada del verismo. L’ultima volta che lo ho ascoltato in un’opera completa è stato ne “Il Trovatore” al maggio fiorentino del 1990; conclusi che si sarebbe dovuto dedicare unicamente ad attività concertistica. La conclusione di allora di non cambiata, ma dopo la lettura del libro di Magiera ho la presunzione di capire un po’ meglio perché ha continuato a calcare il palcoscenico per intere rappresentazioni liriche ed anche a tentare nuovi ruoli.


Leone Magiera “Pavarotti.-Visto da Vicino” Edizioni Ricordi pp. 224 € 20

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