Dovrebbe essere in cima ai programmi del Governo poiché nel 2001-2006 si era lavorato ad uno schema di disegno di legge e nel febbraio 2007 l’Esecutivo guidato, per così dire, da Romano Prodi ha licenziato 22 articoli, in seguito, però, mai usciti dalla Commissione pertinente del Senato. Si tratta della riforma “disparicida”, quella delle autorità di regolazione e vigilanza. L’obiettivo era, ed è, colmare vuoti di regolazione (principalmente nel campo di servizi a rete), semplificare l’architettura specialmente in materia di vigilanza finanziaria, adeguare ordinamenti, numero dei componenti e metodi di nomina. Attendendo tale riordino (si guardi il pur benevolo rapporto Ocse “Italia- assicurare la qualità della regolazione a tutti i livelli di governo”), autorità grandi e piccole a livello regionale (ed in certi casi comunale) si stanno accavallando a quelle nazionali ed europee. Secondo alcune stime (approssimate per difetto) il solo costo alle imprese di fornire informazioni alla selva delle autorithies raggiunge € 40 miliardi l’anno. A tale costo non corrisponde efficienza ed efficacia – meno che meno una vera tutela dei mercati e di chi vi opera.
Sul “Dom” del (prego cercare data esatta) marzo/aprile 2007 commentammo il ddl Prodi facendo riferimento ad saggio di Simon Deakin della Università di Cambridge (Regno Unito) pubblicato sull’European Law Journal ( Vol. 12, No. 4, pp. 440-454). Da un lato, c’è il modello anglossassone di federalismo competitivo : lo Stato che ha le authorities più efficienti (e meno ingombranti) è quello che cresce meglio e di più. Da un altro, c’è il modello dell’Europa continentale “d’armonizzazione riflessiva”, un lessico comunitario che sembra cinese ma indica mutuo riconoscimento di regolazione e d’authorities. Ciò comporta un processo, d’apprendimento e miglioramento graduale che consente di evitare alcune rozzezze dell’authorities singoli Stati dell’Unione (negli Usa). Il nostro sistema rispecchia il “modello europeo”; il ddl Prodi lo avrebbe rafforzato ulteriormente. Uno studio fresco di stampa (Antonio La Spina, Sabina Cavatorto “Le autorità indipendenti”, Il Mulino 2008 pp. 400 € 30) da parte di due esperti non certo vicini al centro-destra (La Spina ha fatto parte della Segreteria Ds della Regione Siciliana) conduce una puntuale analisi empirica di quattro casi – Consob, Antitrust, Autorità per l’Energia, Autorità per le Comunicazioni. Pur evidenziando alcuni aspetti innovativi, il libro conclude che “il sistema italiano delle autorità indipendenti è lungi dall’essere compiuto”. Aree importantissime sono “sguarnite” ed in altre ci sono duplicazioni ed accavallamenti.
Negli ultimi mesi, le tensioni sui mercati finanziari e le difficoltà del decollo della previdenza complementare hanno mostrato a tutto tondo come la debolezza del sistema di regolazione e di vigilanza possa fare correre a tutti più rischi del dovuto. Non è questa un’occasione per fare uscire presto dal dimenticatoio una buona proposta di riforma, più orientata verso il modello anglossassone (di quanto non fosse il ddl Prodi), e porla tra gli elementi centrali di confronto politico?
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