lunedì 5 maggio 2008

PERCHE’ IL COMMERCIO DEVE RIPARTIRE DALL’INTUIZIONE DEL CAV L'Occidentale 5 maggio

Vi ricordate la proposta fatta da Silvio Berlusconi quando è stato, per un breve periodo, Ministro degli Affari Esteri ad interim? Si era all’inizio di questo decennio; ogni anno i rapporti Ice sottolineavano, con lacrimose litanie, come l’Italia stesse perdendo quote del mercato internazionale di merci. Posto alla guida della diplomazia, il Cavaliere. (uso ad essere un imprenditore dinamico con occhio a tutti i mercati) propose che la vasta rete all’estero dell’Italia (Ambasciate, uffici Ice) venisse integrata, che l’ex-Ministero del Commercio con l’Estero confluisse, armi e bagagli, alla Farnesina e che gli Ambasciatori venissero valutati anche in base ai mercati che riuscivano ad aprire al “made in Itay” ed alla posizioni che erano in grado di difendere da esportatori aggressivi. Molte feluche mugnurano: il commercio è per bottegai e per poco si addice a chi deve plasmare la politica estera (anche se spesso non ce ne è a ragione della sempre maggiore influenza Ue). Le incombenze, comunque, sono già tante; se resta un po’ di tempo libero è meglio dedicarsi alla letteratura (sulla scia di una grande tradizione francese , da Roger Peyrefitte a Roman Gary) piuttosto che al fato di automobili, prosciutti e mortadelle. Venne comunque aperto un “tavolo” tra la Farnesina e Via Molise (sede del Ministero delle Attività Produttive di cui la struttura preposta al commercio con l’estero faceva parte). Non se ne fece nulla; fu ben presto chiaro che il nodo riguardava le carriere – il rischio, temuto da alcune feluche, che la “carriera speciale”, la diplomazia, perdesse alcune delle sue caratteristiche, che si aprissero i ranghi (rendendo più competitive le promozioni), che l’integrazione con la rete Ice diluisse le funzioni dei Consiglieri d’Ambasciata incaricati di questioni economiche e finanziarie. Ciò nonostante, nonostante nel 2005 un’analisi empirica Usa confermava che l’idea era buona ed uno studio internazionale del 2007 concludeva che gli ambasciatori, se vogliono, fanno bene all’export. Questi lavori sono stati commentati con l’aggettivo “accademici” nel Palazzone bianco con vista sul Tevere costruito per essere sede del PNF. Un aggettivo che equivale a dire “poco utile”. Sono, poi, stati archiviati sottochiave.
Dell’argomento si è parlato molto poco negli ultimi anni anche perché l’export italiano ha avuto un’impennata in volume (pur non aumentando la quote di mercato poiché il commercio mondiale non cresceva a tasso inferiore). Proprio mentre sta per formarsi il nuovo Governo, la Banca di Spagna mette on line una nuova analisi (di cui forniamo i riferimenti per averla su supporto magnetico ed in versione inglese); sarà tra breve un elegante volumetto. Lo studio conferma l’intuizione del Cavaliere e le due analisi del 2005 e del 2007 (estensivamente citate nel lavoro) , ma giunge anche a quantizzazioni interessanti: esaminando i dati di 21 Paesi esportatori netti e di 162 importatori netti, dove le funzioni dell’Ambasciatore (e pertinenti premi e sanzioni) riguardano la promozione commerciale le probabilità di commercio con il partner in questione aumentano tra l’11% ed il 18% . L’analisi riguarda anche i differenti settori : quanto maggiore è la differenziazione delle esportazioni tanto più alta è la probabilità di incidere. Quindi, se vogliono e se hanno la professionalità del caso, gli Ambasciatori possono aprire mercati.
La stampa italiana ha ignorato lo studio di cui pare non si siano accori né alla Farnesina né a Viale Boston (sede degli ufficio dell’ex-Ministero del Commercio con l’Estero). La ricerca rappresenta un supporto analitico importante per fondere, nella struttura del nuovo Governo, diplomazia e promozione commerciale e mettere sotto un unico ombrello anche Ice, Simest, Sace ed altre agenzie ed spa del genere. Tanto più che, proprio in questi giorni, il rapporto annuale dell’Omc (Organizzazione mondiale del commercio) ha ammonito che soltanto il 3,5% dell’export mondiale è “made in Italy” (rispetto al 9,5 del “made in Germany”, dell’8,8% del “made in China”, dell’8,4% del “made in Usa” e, per soffermarci tra i nostri vicini, del 4% del “made in France”).
C’è, però, anche un’implicazione importante. Data la struttura della “carriera”, i vari “adempimenti” perché sia generalista, molti diplomatici hanno letto per l’ultima volta un manuale di economia ai fini della preparazione al concorso per entrare in carriera; non hanno mai neanche sfogliato libri di politica commerciale e di promozione all’export. E’ urgente che l’Istituto Diplomatico e la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione (con il supporto dell’Ice) organizzino corsi di formazione.
Riferimenti

RUBEN SEGURA-CAYUELA, Bank of SpainEmail: rubens@bde.esJOSEP M. VILARRUBIA, Bank of SpainEmail: josep.vilarrubia@bde.es
The Effect of Foreign Service on Trade Volumes and Trade Partners"
Banco de España Working Paper No. 0808

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