sabato 2 giugno 2007

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE DA RIFARE, MA NON E’ FACILE

Nonostante l’accordo tra Governo e statali (con cui si è, in effetti, succhiato il “tesoretto” di cui si era illuso di disporre il Ministro dell’Economia, Tomaso Padoa-Schioppa), nuove tensioni sono in arrivo – in primo luogo uno sciopero generale del pubblico impiego. Eppure in aprile raggiunta l’intesa sulla contrattazione collettiva si era detto e ripetuto (a mò di ritornello): fatto l’accordo, occorre fare le riforme. Suona un po’ come il risorgimentale, “fatta l’Italia, facciamo gli italiani”. E non può non essere letto con scetticismo da chi scrive che, in un saggio a quattro mani con giovane collega, pubblicato venti anni fa, argomentò che i tentativi di riforma della pubblica amministrazione tendono a finire inevitabilmente nelle mani della parte che li cattura a proprio vantaggio (Pennisi G., Peterlini E. “Spesa pubblica e bisogno di inefficienza”, Il Mulino 1987). Argomento analogo veniva utilizzato proprio in quegli anni da un autore al di sopra di ogni sospetto (il socio-economista chiaramente considerato “a sinistra” Paul Streeten) a proposito della riforme effettuate dai Governi laburisti in Gran Bretagna.
Un saggio di Mita Marra, ricercatrice al Cnr e docente alle Università di Napoli e Salerno ( Marra M. “Il mercato nella pubblica amministrazione – coordinamento, valutazione, responsabilità” Carrocci Editore) induce, invece, a sperare. Scritto sulla base di ricerche effettuate nell’arco di alcuni anni (nonché distinte e distanti dal dibattito sull’andamento dei salari nel pubblico impiego negli ultimi cinque anni o sulla contrattazione collettiva degli statali), esamina , in chiave neo-istituzionali, le riforme della pubblica amministrazione negli ultimi venti anni – per mera coincidenza proprio da quando, nel libro citato, considerai la pubblica amministrazione come preda designata di chi la vuole utilizzare a fini particolaristici. Il lavoro include una parte generale sulle riforme messe in campo principalmente dopo la crisi valutaria del settembre 1992 (quali le leggi sulla trasparenza, sulla partecipazione dei cittadini al procedimento amministrativo, sulla responsabilità dei dirigenti, sull’innovazione, sul controllo di gestione, sulla semplificazione, sui corsi-concorsi per l’accesso alla dirigenza tramite una fast track, percorso accelerato) e , soprattutto, tre casi di studio (la centralizzazione e l’innovazione tecnologica nelle procedure di acquisto di beni e servizi, la progettazione integrata a livello di quattro Regioni del Mezzogiorno (Basilicata, Calabria, Campania, Molise) e l’introduzione della concorrenza e della valutazione tra le aziende sanitarie). L’analisi è socio-economica e qualitativa, nel senso che non fa ricorso ad una strumentazione statistica ed economica per quantizzare, ad esempio, i benefici all’erario delle nuove procedure d’acquisto, il raffronto tra costi di coordinamento e costi di informazione nella progettazione regionale ed i vantaggi agli utenti (in termini di “valutazioni contingenti”) della concorrenza e valutazione nella sanità.
Consente, però, di apprezzare (anche se non permette di misurare) i risultati in parte già ottenuti e soprattutto che si potrebbero ottenere perseguendo una strategia di governance della res pubblica basata sul mercato e che al mercato faccia riferimento. Un aspetto importante è il nesso, messo in evidenza, nella parte conclusiva tra i vari schemi di responsabilità sociale della Pa e le prospettive comunitarie. Segno che, guardando all’Europa, anche in questo difficile campo si guadagna.
Ciò non vuole dire ancora, però, che accontentati i sindacati in materia della parte economica aggregata, giunga, nel breve periodo, quella meritocrazia che, unitamente allo svecchiamento della dirigenza, è essenziale (al di là di quali siano le tecnologie, i metodi e le procedure che si vogliano, e possano, adottare) per avere una pubblica amministrazione più moderna e più giusta. Gli scioperi annunciati per l’inizio di giugno, e le loro motivazioni (non tanto il passaggio dall’accordo quadro ai singoli contratti quanto il rifiuto della meritocrazia) indicano che la strada è ancora lunga. Ed in salita.

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