In che misura l’aumento del tasso di riferimento per il costo del denaro deciso dalla Banca centrale europea (Bce) inciderà sulle fusione e sulle concentrazioni (nel settore e industriale e bancario) che, anticipato al momento del varo dell’unione monetaria, in questi ultimi due anni ha caratterizzato il mercato europeo? Per rispondere a questa domanda occorre, in primo luogo, chiedersi se il ritocco deciso dal Board è un mero “aggiustamento tecnico”, oppure parte di una strategia rialzista (pur se a piccoli passi) come quella che ha caratterizzato la Fed sino al 29 giungo 2006. Nel primo caso, le implicazioni sarebbero insignificanti. Nel secondo potrebbero, invece, mordere.
Verosimilmente, la seconda ipotesi appare più probabile della prima. Almeno agli occhi di coloro che contano – i responsabile delle direzioni finanziarie e delle tesorerie di grandi imprese e grandi banche multinazionali. Tale scenario è peraltro indicato in uno dei più recenti Federal Reserve Board International Finance Discussion Papers (in N. 891), documenti di cui poco si interessano i giornali ma che sostituiscono il pane quotidiano di chi fa banca e finanza. Il lavoro (peraltro molto tecnico) stima le curve di Phillips e le equazioni sull’inflazione per 11 Paesi industriali e delinea una stabilizzazione degli aumenti dei prezzi a ritmi più elevati di quanto riscontrato nel recente passato; da esso si deriva l’esigenza di politiche della moneta più restrittive di quanto lo siano state nel recente passato. D’altronde, la Bce si era già messa su questa strada l’anno scorso: non avere toccato i tassi in primavera rappresenterebbe una pausa in un percorso predetereminato.
Il boom di fusioni e concentrazioni (M & A – nel primo trimestre del 2007 ne sono stati conclusi per circa 1500 miliardi di euro) è in gran misura realizzato con forti leve finanziarie da parte dell’imprese acquirente; un’alta leva finanziaria caratterizza le paratie dell’impresa oggetto di acquisizione in caso di Opa ostili. Ulf Axelson e Per Stromberg, dell’Istituto svedese di ricerca finanziaria, hanno recentemente modellizzato il processo in un lavoro (Nber working paper N 128626) che può interessare anche i non specialisti. Nella stessa direzione, due studi ancora inediti: un’analisi delle strategia difensive effettuata da Federico Mucciarelli dell’Università di Bologna (federico.mucciarelli@unibo.it, per richiederla all’autore) ed un capitolo (dedicato a M & A nel settore bancario europeo) dell’ Handbook of Financial Engineering (Manuale di Ingegneria Finanziaria) che l’editore Sprinter manderà in libreria in autunno.
In breve, negli ultimi 18 mesi la febbre di M & A è stata facilitata dall’emissione di obbligazioni corporate a rendimenti abbastanza elevati, che hanno facilitato l’inclusione di nomi nobili in quello che era in passato conosciuto come il mercato delle obbligazioni spazzatura. Nell’ultima settimana di maggio, il rendimento medio dei fondi Usa a alto rendimento sfiorava il 12% l’anno – rispetto alla media del 9,3% nei cinque anni precedenti. Interessante notare che i buoni del tesoro decennali Usa vengono commerciati ad un rapporto prezzo: rendimenti di 22:1, abbastanza simile al rapporto medio prezzi: utili per il paniere dello Standard & Poor 500. Analoga la tendenza sulle piazze europee. Ampia liquidità, bassi tassi d’interesse ed alti rendimenti di corporate bond (mirati a M & A) hanno reso possibile un considerevole arbitraggio per chi acquista azioni e vende obbligazioni con la cura di comprare un’attività a prezzo contenuto (se si tiene conto della volatilità) per venderne un’altra (a reddito fisso) ma ad alto prezzo (a ragione del rendimento). Tale arbitraggio è stato se non la molla il sale della febbre di M & A specialmente in Europa. Lo sottolineava circa un anno fa uno studio della Bocconi e dell’Università di Stoccolma (ECGI - Finance Working Paper No. 118/2006) che pare avere interessato unicamente gli specialisti.
Tiriamo le somme. E’ difficile dire se siamo o non siamo ad una svolta – in particolari se il più alto costo del denaro inciderà sui M & A. La difficoltà non risiede tanto in effettuare stime quantitative sulla base degli strumenti che conosciamo – è banale dire che se l’indebitamento costa di più, la leve finanziaria diventa meno conveniente- ma nella lezione che si trae dalla lettura delle bozze dell’Handbook of Financial Engineering: si è formata una classe di ingegneri finanziari di grande creatività che hanno, nell’ultimo decennio, cambiato permanentemente le regole del gioco, affrontando con genialità nuove sfide. Anche quella di un più alto costo del denaro.
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