sabato 9 giugno 2007

BERSANI STUDIA IL MODELLO DELL’IMPRESA FAMILIARE

Il 12 maggio il Ministro dello Sviluppo Economico, Pierluigi Bersani, non era – lo si sa- a Piazza San Giovanni al “Family Day”. Proprio in quel periodo (e non solo), però, studiava come l’impresa famigliare (specialmente se di piccole e medie dimensioni) può essere una leva importante per la crescita, in particolare delle aree del Paese in ritardo di sviluppo. Lo ha colpito, in primo luogo, un’analisi di un economista italiano, Dario Gaggio, che lavora all’Università del Michigan a Ann Arbor “Pyramids of Trust: Social Embeddedness and Political Culture in Two Italian Gold Jewelry Districts" (“Piramidi di fiducia: capitale sociale e cultura politica” ) pubblicato di recente sul periodico scientifico “Enterprise & Society: The International Journal of Business”. Gaggio studia lo sviluppo economico di due distretti industriali , Valenza Po ed Arezzo, in cui lo sviluppo della lavorazione dell’oro (e della gioielleria in senso lato) è stata resa possibile dalla creazione di reti di relazioni sociali eterogenee. In ambedue le città, i legami politici e sociali hanno plasmato istituzioni di governo collettivo basate su un forte grado di fiducia reciproca. A loro volta, tali istituzioni hanno portato, a Valenza Po, a progetti collettivi di modernizzazione ed ad Arezzo ad un’efficiente settore informale.
Dalla storia economica , Bersani passa ad un più complesso lavoro di Alberto Alesina e Paola Giuliano appena pubblicato nella serie degli Harvard Institute of Economic Research Discussion Papers : "The Power of the Family" (“Il potere della famiglia”). E’un’analisi quantitativa basata sulla World Value Survey (“La rassegna mondiale dei valori”) che copre oltre 70 Paesi. Con un’approfondita analisi statistica, Alesina e Giuliano sostengono che c’è un nesso molto forte tra legami famigliari ed esiti economici. Dove i primi sono forti, si conta meno sul mercato e sull’intervento pubblico per la sicurezza sociale, la partecipazione delle donne e dei giovani al mercato del lavoro più bassa ( le prima si dedicano maggiormente alla produzione in casa ed i secondi agli studi). C’è anche meno mobilità geografica. Le famiglie sono di maggiori dimensioni (e la fertilità più elevata) se i legami famigliari sono forti; il che è coerente con il concetto secondo cui la famiglia è un’unità economica.
Indirettamente, queste conclusioni sono confermate da altri due studi, uno dell’Università di Valencia in Spagna ed uno della Stern Business School della New York University. Il primo (appena pubblicato sul Journal of Knowledge Management) non analizza direttamente le imprese su base famigliare ma la gestione delle conoscenze nella gestione delle piccole e medie imprese, fonte essenziale di vantaggio comparato. Il lavoro sottolinea come sono mutati i paradigmi di un tempo e propone un complesso modello dinamico di rete per individuarne di nuovi. Ma sulla base delle analisi di Gaggio, Alesina e Giuliano, non è nei nessi della famiglia che si possono trovare tali nuovi paradigmi?
Il secondo, invece, affronta il tema del paternalismo e dei rapporti di lavoro nelle imprese famigliari. Si basa su dati di un centinaio di Paesi dagli Anni Sessanta ad oggi. La conclusione è che le aziende famigliari sono relativamente prevalenti nei Paesi dove i rapporti di lavoro sono difficili; di converso, le imprese su base famigliare sono particolarmente efficace nel risolvere le tensioni lavoristiche (anche tenendo conto della normativa a tutela delle minoranze azionarie ed altre determinanti potenziali del controllo famigliare dell’azienda).

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