Passata la Festa, gabbato il Santo. A proposito della centralità della famiglia, tanto conclamata poche settimane fa, c’è il rischio di finire così quando il 28 giugno Romano Prodi e Tommaso Padoa-Schioppa (TPS per gli amici e non solo, dopo la recente esibizione in Senato) metteranno il suggello al Dpef. O quando in settembre definiranno la legge finanziaria (sempre se saranno ancora in sella).
Per questo motivo, noi de Il Tempo torniamo ancora sul tema. Dopo aver proposto che il “tesoretto” (ove mai fosse esistito) venisse destinato interamente alle politiche per la famiglia e la famiglia diventasse il centro del Dpef.
Dai Palazzi (specialmente da quelli umbertini di Via XX Settembre) giungono voci poco incoraggianti: si starebbe predisponendo una manovra di 15 miliardi di euro (30.000 miliardi delle vecchie lire) per accontentare questa e quella richiesta della sinistra radicale. Alla famiglia, verrebbero dedicate pagine scritte in modo elegante e raffinato, ma senza nessun consistente impegno.
A Prodi e a TPS suggeriamo due letture fresche di stampa di economisti non di fede cattolica. In primo luogo, il saggio di Patricia Morgan della Università di Buckingham su “The war between the State and the Family” (“La guerra tra lo Stato e la famiglia”), Iea Hobart Paper n. 159; vi si delinea come i politici (di sinistra) abbiamo fatto una vera e propria guerra alla famiglia negli ultimi 25 anni per soppiantarsi (in modo maldestro) ad essa come culla del benessere individuale e sociale. In secondo luogo, un lavoro quantitativo di Freiderich Heinemann del Centro Europeo di Ricerca Economica (Zwe Discussion Paper n. 07- 029) in cui si convalida l’ipotesi di Assar Lindbeck, economista svedese beniamino della sinistra italiana, secondo cui uno Stato sociale troppo generoso indebolisce le norme sociali fondate sulla famiglia ed è all’origine della crisi fiscale dello Stato.
Tanto Patricia Morgan quanto Freiderich Heinemann sono distinti e distanti dalle nostre beghe ma concordano nel sostenere che una politica per la famiglia non vuole dire nuovi interventi pubblici; anzi potrebbe essere dispendiosi e porosi – “il secchio è bucato”, amava dire un altro economista amato dalla sinistra, Arthur Okun. Significa, invece, chiedere alla mano pubblica di fare un passo indietro (intervenendo unicamente per i nuclei in stato di bisogno) per permettere alle famiglie di svolgere il proprio loro. In breve, Prodi e TPS dovrebbero dire al Vice Ministro delle Finanze Vincenzo Visco (da loro sostenuto a spada tratta nella recente complicata vicenda a tutti nota) di adottare, nella prossima finanziaria, quel “quoziente famigliare” a cui si è sempre opposto e di abrogare la reintroduzione surrettizia (effettuata l’anno scorso) dell’imposta di successione. Sul primo punto, sino a quando Visco ed i suoi esperti dimostrano l’opposto, valgono le conclusioni dell’analisi di Luigi Campiglio e Tatiana Oneta secondo cui le famiglie avrebbero un sollievo fiscale consistente, senza che ci sia una caduta di entrate. Sul secondo, sino a prova contraria da Piazza Mastai e dintorni, fa testo la recente ricerca dell’Istituto Tedesco di Studi di Economia del Lavoro, Iza (Iza Discussion Paper N. 2578), ente non certo legato alla Casa delle Libertà: molti Stati la hanno abrogata perché appartiene al passato remoto (venne introdotta con la tassazione capitarla e fondiaria quando i sistemi tributari erano rudimentali). Gran parte dei Paesi anglo-sassoni la hanno cancellata in quanto il suo accertamento e la sua riscossione costa molto di più del gettito tributario che genera. La mantiene la Francia, ma il programma di Sarkozy ne prevede l’eliminazione. Resteremo i soli con il triste primato di avere una “Death Tax” (tassa sulla morte, la chiamano così in inglese) che scoraggia quei lasciti alle generazioni future che spesso sono il sale dei nuclei.
Una politica per la famiglia – lo si dica chiaro e forte – vuol dire in primo luogo meno tasse sui nuclei ed incoraggiare i trasferimenti intergenerazionali. Se Dpef e finanziaria non lo prevedevano, le famiglie concluderanno di essere state prese in giro. E voteranno di conseguenza.
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