Prodi ha annunciato che il prossimo Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (Dpef) verrà presentato il 28 giugno. Ha, però, difficoltà sull’orientamento di fondo da dare al documento. Pur se i conti pubblici paiono in regola con il patto di stabilità (ma dal modello econometrico della Bce si evince che tale risultato è da attribuirsi ai provvedimenti della XIV Legislatura non a quelli dell’ultimo anno), gli aspetti strutturali di politica economica indicati nel Dpef del 7 luglio 2006 non sono stati neanche sfiorati. Il documento dell’anno scorso individuava quattro aree: pensioni, ammodernamento Pa, sanità, finanza locale. Per la previdenza si sarebbe dovuti arrivare ad una riforma entro e non oltre il 30 marzo. Ora si parla di 30 giugno, ma probabilmente non se ne farà niente: entrerà in vigore la legge Maroni del 2004 con lo “scalone” e non avverrà l’aggiornamento dei coefficienti di trasformazione (i parametri per trasformare in annualità, e quindi in assegni mensili, il montante dei contributi accumulati). Per la Pa si sono fatti addirittura passi indietro : non è stata introdotta la meritocrazia negli uffici e la formazione è nel caos a ragione di una proposta nei confronti della quale pendono ricorsi delle Regioni alla Corte Costituzionale ed i sindacati sono in subbuglio. In tema di sanità e di finanza locale, l’unica misura sono gli incrementi (non graditi) delle addizionali delle imposte regionali.
Quindi occorre trovare una nuova rotta. Su suggerimento dei suoi ex-colleghi dell’ateneo di Bologna, Prodi la sta cercano in quel filone di “economia della felicità”, coltivato, in Italia, da Luigino Bruni e Stefano Zamagni. In primo luogo, per spiegare le differenze tra obiettivi (del 2006) e risultati (quali si presentano adesso), il fedelissimo Ricardo Franco Levi (Ricky Levi per gli amici) ha scovato una vera chicca: l’Italia è un Paese iperteso (sotto il profilo economico) e dove è quindi molto difficile realizzare una politica di felicità (economica). L’appiglio è un saggio freschissimo di David Blanchflower del Darmouth College e di Andrei Oswald della Università di Warwick (“Hypertension and Happiness Across Nations"- “Ipertensione e felicità tra le Nazioni” ) pubblicato in maggio nella serie degli NBER Working Paper (è il numero W12934). E’ un’analisi comparata di 26 Paesi: quelli “più felici” sono anche quelli dove i livelli di ipertensione (misurati con analisi del sangue) sono i più bassi. Quindi, evitare di somministrare i calmanti- Cosa difficile, argomenta Ricky Levi, perché nella complessa compagine di Governo ci troviamo con Ministri e Sottosegretari che fanno concorrenza (sleale) ai tranquillanti.
Più incoraggiante il saggio_"Perspectives from the Happiness Literature and the Role of New Instruments for Policy Analysis" (“Prospettive dalla letteratura sulla felicità ed il ruolo dei nuovi strumenti per l’analisi delle politiche economiche”) pubblicato da B.S: Van Praag della Università di Amsterdam in Germania (IZA Discussion Paper No. 2568) e scovato dal buon Ricky Levi. E’ un lavoro teorico ma indica quali indicatori utilizzare nell’analisi della felicità e quali strumenti impiegare a fini di politica economica.
Sulla stessa vena l’ultimo lavoro di due dei “padri” dell’economia della felicità – Bruno Frey e Alois Stutzer "What Happiness Research Can Tell Us About Self-Control Problems and Utility Misprediction" (“Cosa ci dice la ricerca della felicità in materia di autocontrollo e di previsioni errate delle utilità”) apparso in primavera avanzata tra Institute for Empirical Research in Economics Working Paper ( è il numerpo 267). Ha un chiaro nesso con le analisi sulle difficoltà di fare politica economica della felicità ; riguarda, però, aspetti micro-economici (il fumo, il troppo tempo a guardare la Tv) più che i nodi macro-economici che il Dpef deve sciogliere.
La ricerca continua. Il Dpef della felicità è lontano. Il Palazzo (Chigi) è, comunque, felice.
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