sabato 9 giugno 2007

ARRIVA UN ALTRO DPEF APPESO ALLE PENSIONI

Mentre nei piani alti del Palazzo si valuta la tenuta del Governo (in seguito ai risultati delle elezioni amministrative e delle polemiche sul Vice Ministro Visco), nelle stanze dei Ministeri (dell’Economia e delle Finanze, e non solo) si sta lavorando alacremente al Documento di Programmazione Economica e Finanziaria (Dpef) che il Presidente del Consiglio si è impegnato a presentare il 28 giugno. L’intenzione è di completarne la discussione parlamentare prima delle ferie estive ed in tempo per predisporre i lineamenti della legge finanziaria non appena l’Istat avrà disponibili il preconsuntivo sull’andamento economico nell’anno in corso, nonché le stime preliminari sul 2008. Il Governo ribadisce che non ci sarà una maximanovra di finanza pubblica di 42 miliardi di euro (come quella dell’anno scorso). Non sarà neanche un percorso di tutta tranquillità. Le prime stime che trapelano da Via XX Settembre delineano una manovra di 5-10 miliardi da euro (da farsi – si aggiunge – sul fronte della spesa e non delle entrate). Tali stime tengono conto del rallentamento della crescita economica: secondo l’ultimo Economic Outlook, nel 2008 l’Italia sarà il fanalino di coda dell’Ocse (una crescita appena dell’1,5% rispetto al 2,3% stimato per la media dell’area dell’euro) , a ragione anche dell’incremento del prelievo fiscale e contributivo attuato con l’ultima finanziaria. Ipotizzano, però, l’entrata in vigore dello “scalone” previdenziale che comporta risparmi per 9 miliardi di euro. E non tengono conto delle richieste presentate (od in via di presentazioni) da Ministri e da Ministeri. Se per avere un ordine di grandezza di tali richieste si quantizza quanto chiesto a valere sul presunto “tesoretto” (che si sarebbe realizzato nell’anno in corso) si toccano 25 di miliardi di euro per dare corpo a impegni (peraltro soltanto verbali e morali) presi negli ultimi giorni della campagna elettorale: i) sostegno alle pensioni più basse, precari e ammortizzatori sociali, ii) supporto alle famiglie a basso reddito, iii) piano casa, iv) innovazione e ricerca, v) infrastrutture. Inoltre le uscite avanzano ad un ritmo ancora più veloce delle entrate: nei primi quatto mesi del 2007 il fabbisogno del settore statale è stato superiore a quello registrato nei primi quattro mesi del 2006.
In termini aggregati, perciò, le stime per la manovra prossima futura variano da un minimo attorno ai 5-10 miliardi ad un massimo di 45 miliardi. Sono due scenari estremi. Nel primo scenario, si ipotizza che il Ministro del Tesoro diventi un baluardo nei confronti delle richieste sindacali e ministeriali; nel secondo si assume, invece, che per soddisfare tutte le componenti della coalizione (ed i loro elettori) Via XX Settembre sia costretta a cedere su tutta la linea. Nella prima ipotesi si resterebbe nell’alveo degli impegni presi dall’Italia in sede europea e si reggerebbe bene pure l’aumento dei tassi d’interesse prospettato per giugno dalla Banca centrale europea (Bce). Nella seconda, ci si porrebbe fuori dal percorso europeo, aumenterebbe lo spread tra i tassi nostrani e quelli del resto dell’area dell’euro e ci troveremmo in serie difficoltà.
Tra questi due estremi, un quadro probabile è che soltanto una piccola frazione delle richieste ministeriali venga accolta (gli aumenti delle pensioni minime e qualche spicciolo in più per la famiglia). La vera incognita è se ed in che misura, il Ministro dell’Economia e delle Finanze riuscirà a reggere l’urto sull’abolizione (o sostanziale modifica) dello “scalone” previdenziale che ha ormai assunto valore simbolico non solo per parte dei sindacati ma anche per i Ministri del Lavoro e della Solidarietà Sociale (su questo punto insieme, pur se divergono su molti altri) e per componenti dello schieramento che intendeno confluire nel Partito Democratico (oltre che per la sinistra radicale). Il futuro dei conti pubblici (e dello spread dei tassi) dipende, dunque, in gran misura dagli esiti nel negoziato sulla previdenza.
Più difficili da spiegare gli scostamenti rispetto alle politiche di riforma delineate nel Dpef del 7 luglio 2006. Esse avrebbero dovuto fare perno su ammodernamento Pa, sanità, finanza locale e pensioni, temi che avrebbero essere il corpo nella finanziaria del il 30 settembre 2006. L’agende presentata il 31 maggio dal Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi riprende, con una leggera differenza d’accento, queste priorità: a) previdenza; b) istruzione; c) amministrazione della giustizia; d) regime di concorrenza nel settore dei servizi; d) grandi reti infrastrutturali. Prodi e TPS sono alla ricerca di equilibrismi per compatibilizzare le due agende e mostrare agli italiani che qualcosa si è fatto sulla prima (Dpef 2006) e che ci sta muovendo anche sulla seconda (DraghI)
Rispetto al Dpef del luglio 2006, in termini di ammodernamento della Pa, nulla si è fatto per il miglioramento degli uffici e per la meritocrazia. In materia di sanità e di finanza locale, le uniche misure prese sono gli incrementi delle addizionali delle imposte regionali. Per la previdenza, siamo lontani da un riassetto: anzi, secondo le ultime stime dello stesso Ministero del Lavoro, nel medio termine lo “scalone” non basta ma occorre anche rivedere i coefficienti di trasformazione (i parametri per trasformare in annualità, e quindi in assegni mensili, il montante dei contributi accumulati). Questa però era la priorità del Dpef 2006 ed il primo punto dell’agenda mostrata da Draghi. Ancora una volta il contenuto del Dpef dipende da ciò che si proporrà in materia di pensioni.

A rendere la partita ancora più complicata (ove mai ce ne fosse bisogno), i sindacati sono solo apparentemente uniti nelle loro richieste: la Cgil aborre lo scalone ma è pronta a negoziazione sui coefficienti, mentre Uil, Cisl e Ugl ingoierebbero lo scalino ma non intendono cedere sui coefficienti. Tali differenze si spiegano con la differenziazione, per classi di età, dei loro iscritti. La Cgil è il sindacato più anziano: sono quasi tutti loro iscritti i 190.000 che nei prossimi tre anni trarrebbero vantaggio dall’abolizione dello scalone. Tuttavia, si affievolirebbe l’interesse di molti ad andare in pensione a 57 anni se avessero piena contezza che il meccanismo di aggiornamento dei trattamenti (collegato all’indice del costo della vita degli operai, non all’andamento dei salari, nonché con ulteriori penalizzazioni per le pensioni più elevate) comporta, anno dopo anno, una perdita consistente di tenore di vita relativamente a chi decide di mettersi in quiescenza più tardi. I loro trattamenti verrebbero decurtati severamente in termini reali dal momento del pensionamento a 57 anni alla soglia dei 75 anni (quando le esigenze di ciascuno probabilmente aumenteranno). Nei prossimi giorni (non sorprendiamoci) potrebbe partire una campagna d’informazione a questo riguardo.

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